Da Carlo
Marx a Papa Francesco
passando
per Adriano Olivetti
Idee per
superare la crisi economica
e
ridurre il divario poveri-ricchi
di Mario Talli
Crescita o decrescita? Tra i molti interrogativi
che oggigiorno ci assillano, il dubbio che divide economisti e politici fino a
sfiorare i comuni mortali è se l'economia nostrana e quella mondiale in evidente
stato di crisi, sia pure in proporzioni diversissime, siano curabili cercando di
incrementare le produzioni e i consumi, oppure puntando sulla drastica riduzione
di entrambi i fattori. Naturalmente, come sempre succede, ci sono anche i
fautori di una sorta di “terza via”, secondo i quali sarebbe più assennato
distinguere poiché ci sarebbero prodotti e consumi da privilegiare e altri
invece da buttare
perché
servono a poco o addirittura, a ben guardare, influiscono negativamente sulla
salute del genere umano
peggiorandone le condizioni di vita insieme a quelle del pianeta.
Ma non è di questo dilemma che in questo momento
vogliamo occuparci. Piuttosto attirare l'attenzione su un tema che di tanto in
tanto affiora nelle discussioni di carattere universalistico, ai confini con la
metafisica. Alludiamo al tema relativo alla distribuzione delle ricchezze della
terra e dei frutti dell'ingegno e del lavoro degli uomini e delle donne.
Come è evidente fin da subito, tra il primo e il
secondo tema il legame è abbastanza stretto. Ma con una differenza sostanziale
tra l'uno e l'altro: mentre una decrescita intelligente e benefica
appare più agevole, ancorché tutt'altro che facile perché non è semplice
mutare abitudini consolidate, una diversa, assai più equa distribuzione dei
redditi a vario titolo prodotti, implica a nostro avviso un vero e proprio
processo rivoluzionario.
Negli ultimi anni del secolo scorso, specie dopo
il tragico fallimento del comunismo sovietico, è sembrato che ogni idea di
rivoluzione fosse tramontata per sempre. Ma nei fatti della storia, come
sappiamo, non ha senso l'affermazione “mai più”. Ovviamente noi qui alludiamo ad
una rivoluzione fatta non con le armi e la violenza, ma con le leggi promulgate
dai governi sostenuti dal voto dei cittadini, una rivoluzione graduale e
progressiva, “dolce-amara”:
dolce, perché premessa di un mondo più giusto e pacificato; amara, perché tutti
quelli che più hanno e non solamente i “ricchi sfondati”, come si usa dire in
Toscana, dovrebbero verosimilmente versare più di qualche lacrima. Una
rivoluzione, come si vede, non solo
politica, ma omnicomprensiva (ogni vera rivoluzione lo è sempre): sociale,
culturale, psicologica.
Dunque, una rivoluzione che non abbia un grande
impianto teorico, incardinata verso un unico obiettivo: la drastica riduzione,
come dicevamo prima, delle differenze reddituali tra i cittadini e
l'eliminazione delle ricchezze esorbitanti fini a se stesse. Magari assumendo
come mèntore la bella figura di Papa Francesco (in questo buio profondo che ci
circonda c'è anche della luce, si creda nell'aldilà oppure no) al posto di Carlo
Marx.
Sappiamo benissimo che fin dagli albori del
socialismo ed anche molto prima si coltivavano idee del genere, talmente
dirompenti da essere considerate utopiche. Di nuovo, oggi, c'è che è cambiato il
mondo. Eventi di proporzioni gigantesche, impensabili fino a pochi anni fa
almeno negli effetti, impongono risposte razionali adeguate e rendono possibili
soluzioni che un tempo sarebbero, appunto, apparse illusorie. Crediamo non sia
un caso se si è tornati a parlare di Adriano Olivetti, (foto a destra) un uomo
troppo presto dimenticato, delle sue realizzazioni e dei suoi progetti, della
sua tecnologia, se possiamo dire così, dal volto umano.
La globalizzazione, l'automazione spinta a
livelli sovrumani - forse anche disumani - la rivoluzione informatica (è di
pochi giorni fa la notizia che d'ora in avanti stampanti a tre dimensioni non
restituiranno più solo carta scritta o disegnata, ma anche oggetti solidi:
pentole e tegami di ceramica,
chincaglieria e numerosi altri prodotti finiti), la progressiva scomparsa
dell'artigianato, dei piccoli esercizi commerciali e di ciò che ancora resta
della produzione manuale, spesso confinante con quella artistica, nella quale
l'uomo un tempo esprimeva il meglio della sua fantasia e della sua inventiva,
tutte quante attività che assorbivano grandi quantità di mano d'opera e il
contemporaneo ingresso nel mercato del lavoro di centinaia di milioni (perché lo
sguardo non può più essere solo nazionale, ma intercontinentale) di uomini e
donne in cerca di riscatto
dalla
miseria secolare, tutti questi fenomeni ed altri ancora determineranno ulteriori
e forse drammatiche tensioni concorrenziali cui bisognerà far fronte istituendo
in prima battuta forme di sostegno economico minimo (il cosiddetto reddito di
cittadinanza di cui anche si è parlato in questi giorni), pretendendo in cambio
prestazioni di utilità sociale pubblica per non creare nuove categorie di
nullafacenti volontari, nonché agevolando tutti coloro che con la loro
iniziativa producono nuova
occupazione.
Tutto questo comporterà l'impiego di grandi
risorse finanziarie, talmente imponenti che potranno essere reperite soltanto a
condizione di prelevarle dalle ricchezze spropositate, non sempre, tra l'altro,
accumulate in modo trasparente e magari difese
affidandosi a politiche (e politici) poco raccomandabili.
Dicevamo prima di Papa Francesco. Lui, come il
santo di Assisi di cui ha preso il nome, predica i benefici e le gioie della
povertà. Noi non arriviamo a tanto. Ma non essere ricchi, per sorte o per aver
scelto di non provare a diventarlo, contrariamente a quanto comunemente si crede
o si vuol far credere, ha i suoi vantaggi: l'abbiamo sperimentato di persona.
Intanto si è infinitamente più liberi perché chi non possiede ricchezze in
denaro o proprietà non ha dovuto contrarre patti con nessuno; in genere
non invidia e non è invidiato, se non per altre ragioni; non deve
preoccuparsi di conservare o incrementare i propri averi; è sicuro che i suoi
amici sono autentici e non amici per interesse; perché tutto ciò che una persona
può permettersi con i soldi che ha onestamente guadagnato sarà apprezzato e
gustato molto di più; perché non entrerà in conflitto con la propria coscienza
al cospetto dei poveri veri, quelli che vivono in condizioni di povertà non per
loro libera scelta, ma perché così ha voluto la sorte. I non ricchi, infine, non
rischiano di morire di noia.