causò il terremoto dell’Aquila
Pubblicato un nuovo studio sui
fenomeni deformativi che precedettero il disastroso sisma
del 2009
La forte scossa di
terremoto de L’Aquila del 06 aprile 2009 è stata causata dalla rottura di
una faglia lunga circa sedici chilometri con uno scorrimento di quasi un metro.
Gli effetti in superficie di questa rottura sono stati evidenziati con diverse
tecniche di misura, fra cui quella GPS (Global Position System) e quella
interferometrica basata sull’utilizzo di immagini radar da satellite (InSAR).
Ulteriori ricerche hanno evidenziato la possibile presenza di fenomeni
deformativi, di diversi centimetri, in un’ampia area relativamente vicina alla
zona colpita dal terremoto.
La ricerca pubblicata sulla rivista internazionale “Terra Nova” col titolo: “Anomalous
far-field geodetic signature related to the 2009 L’Aquila (central Italy)
earthquake” (“Deformazione geodetica anomala relativa al terremoto de L’Aquila
Italia centrale del 2009”)
a cura di Simone Atzori, Claudio Chiarabba, Roberto Devoti (INGV) e
Manuela Bonano e Riccardo Lanari (CNR-IREA), è stata condotta sfruttando i
numerosi satelliti di osservazione della Terra che acquisiscono regolarmente
immagini radar. Una tecnica di recente sviluppo, denominata interferometria
radar (nota come InSAR), permette di individuare con precisione inferiore al
centimetro le deformazioni della crosta terrestre che interessano vaste porzioni
del territorio. In questo lavoro vengono sfruttate immagini di satelliti radar
europei e giapponese per cercare di individuare anche deboli segnali che possano
aver preceduto il terremoto, esplorando un arco temporale anche di molti mesi
prima dell’evento. In tal senso sono stati usati i più moderni algoritmi di
elaborazione di dati radar, tramite una collaborazione fra enti di ricerca
pubblici italiani. Come spesso accade, si è partiti dall’analisi di un singolo
fenomeno per estendere poi l’ambito di indagine; il punto d’inizio è stata
l’analisi di una deformazione di qualche centimetro che ha interessato un’ampia
zona a circa 20 km a sud-ovest de L’Aquila, giustificabile solo in parte come
conseguenza della rottura del 6 Aprile, in accordo con gli attuali modelli a
disposizione. L’indagine poi si è estesa temporalmente fino a includere le
deformazioni dell’area negli anni precedenti e riscontrando che in quella stessa
area altri fenomeni deformativi sembrerebbero essersi verificati un paio di anni
prima dell’evento. Sebbene sia al momento ancora difficile capire il legame fra
queste deformazioni e l’evento principale, questo studio vuole indirizzare
l’attenzione sul contributo che le tecniche geodetiche possono dare allo studio
dei processi di formazione dei forti terremoti.
Presso l’INGV, i dati geodetici della rete GPS nazionale e le mappe di
deformazione ottenute con immagini radar da satellite sono oggetto di attività
di ricerca per tutte le fasi che interessano il ciclo sismico: prima, durante e
dopo un evento. Il potenziamento di questo ambito di indagine, soprattutto per
zone a maggior rischio sismico, può fornire nuovi ed importanti elementi per la
comprensione dei fenomeni che sono alla base della generazione di un terremoto.
Chiediamo a Simone Atzori, prima firma di questa ricerca, dove pensa di
applicare questo tipo di indagine: “Queste
attività di ricerca vengono svolte in occasione di tutti i terremoti
significativi in Italia e all’estero; spesso si tratta di analisi ex-post, in
cui si ‘guarda indietro’ e si riconsiderano eventi passati, in relazione anche
alla disponibilità di nuovi dati e di nuovi algoritmi per la loro elaborazione.
E’ fondamentale continuare ad indagare con un approccio multidisciplinare con la
speranza di individuare, in futuro, indicatori che possano diminuire il grado di
aleatorietà dell’accadimento di terremoti”.