ALLA PAURA DELLA LIBERTA’
Riflessione sul rispetto dei diritti umani nel mondo
di Magali Prunai
Quando parliamo di libertà religiosa e di libertà in genere dobbiamo sempre
affrontare l’argomento dal punto di vista delle minoranze, in quanto sono sempre
quelle meno tutelate, le più deboli e suscettibili di soprusi.
Le libertà delle persone e i diritti fondamentali dell’uomo sono concetti
indivisibili. Principe di tutte le libertà è sicuramente quella di espressione,
senza la quale tutte le altre non potrebbero esistere. Senza la
possibilità
di esprimerci liberamente in pubblico, attraverso lo scritto o la parola, non
potremmo concepire nessuna altra libertà, ivi compresa quella religiosa. Per
tutelare la libertà di religione si deve, comunque, partire dalla tutela delle
minoranze.
Ogni settore della nostra vita è permeato da aspetti che hanno ripercussioni sul
proprio credo: il rispetto degli altri, certe scelte di vita comune e familiare
e addirittura scelte alimentari. La libertà religiosa e delle professioni
è una delle più alte espressioni di Democrazia di un paese. Ma anche
queste due libertà combinate insieme identificano il grado di tolleranza o meno,
e quindi di Democrazia, di uno Stato.
La libera espressione del proprio credo religioso è un concetto fortemente
intriso della retorica della libertà di coscienza. La libertà di coscienza è un
concetto di difficile spiegazione, infatti non è possibile attribuirgli un
significato unico. La coscienza può essere conoscenza, consapevolezza e volontà,
connotazione della persona ma anche di un’entità astratta. Insomma, si tratta di
una serie di qualificazioni che ne spostano di volta in volta il centro di
interessi. Per quanto riguarda la libertà di religione la libertà di coscienza
altro non è che il diritto di ognuno a comportarsi secondo le proprie idee,
secondo coscienza appunto, purché
queste siano conformi alla legge.
In Italia, la storia insegna, certe libertà non sono sempre esistite. In
passato, durante il ventennio, era impossibile dichiarare pubblicamente il
proprio credo religioso, chi non era cattolico veniva registrato e,
successivamente, deportato nei campi di sterminio. L’odio religioso e razziale,
che infervorava sempre di più una parte della popolazione mondiale, rendeva
anche solo impensabile poter dichiarare pubblicamente la propria coscienza
religiosa. Si viveva in un clima di odio e di paura, clima che ha visto un
miglioramento ma che sicuramente non è più di tanto cambiato negli anni seguenti
al conflitto mondiale. Se da un lato la libertà di espressione in genere,
compresa quella religiosa, era costituzionalmente garantita, dall’altro c’era un
potere molto forte esercitato dalla Chiesa tanto che parte del problema si
spostò su chi si professava per la prima volta in piena libertà ateo. Se le
differenze di credo religioso non erano più fomentate anche e soprattutto in
ricordo delle atrocità appena vissute, nulla vietava, in modo particolare alla
Chiesa, di accanirsi nei confronti di chi religione non ne aveva alcuna.
Da un clima di paura, nel corso degli anni, siamo passati a un clima di maggiore
libertà ma anche di indifferenza parziale se non totale per poi sfociare, negli
ultimi tempi, in certe forme di bigottismo e razziste estreme dove i beneficiari
di un certo trattamento di odio sono tutti coloro che non solo non appartengono
a quelle religioni che oramai non sono diventate la “normalità” in Italia, ma
che anche provengono da paesi terzi e poco industrializzati. E questa
affermazione è maggiormente rafforzata dalle numerose sentenze di condanna per
razzismo e intolleranza che l’Italia subisce continuamente per azioni commesse
da membri dello stesso governo.
L’intolleranza, religiosa e non solo, dilaga nel mondo come una malattia, come
la peste raccontata da Camus nel suo celebre libro che segue un percorso che non
può essere deviato o ridotto, pronta a colpire senza preavviso e sempre in
maniera letale.