Drammatica situazione delle carceri italiane

Dei diritti e delle pene

Un intervento del Presidente Napolitano in visita a San Vittore

Nostra intervista a Lucia Castellano, già direttore del carcere modello di Milano-Bollate

 

di Giuseppe Prunai

 

 

 

 Il Presidente della Repubblica saluta i detenuti del carcere milanese di San Vittore (le foto sono dell'Ufficio Stampa del Quirinale)

 

Dure condanne per il nostro Paese da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. L’Italia, dice la CEDU, viola i diritti dei detenuti tenendoli in celle dove hanno a disposizione meno di tre metri quadrati a persona. Chiamata a giudicare il caso di sette detenuti dei carceri di Busto Arsizio e Piacenza la Corte ha condannato l’Italia ad un ammontare totale di 100mila euro di risarcimento danni ai sette ricorrenti e ha dato al nostro Paese un anno di tempo per risolvere la situazione carceraria. Neppure un mese dopo, la CEDU si è nuovamente occupata della situazione italiana su ricorso di un detenuto del carcere di Foggia: affetto da paralisi parziale al braccio sinistro, non ha ricevuto cure adeguate da parte del l’amministrazione carceraria. La Corte ha condannato l’Italia per trattamento inumano e degradante del detenuto ed ha riconosciuto a questi un risarcimento di 10mila euro per danni morali.

Avvilita, non stupita, si è detta il ministro della giustizia, Paola Severino ed ha riassunto gli effetti del cosiddetto decreto “salva carceri”, divenuto legge nel febbraio 2012: i detenuti che nel novembre del 2011 erano 68.047, sono scesi a 65.725 in quanto il provvedimento ha inciso sul fenomeno delle cosiddette “porte girevoli” , vale a dire gli ingressi in carcere per soli due-tre giorni, e sulla durata della detenzione domiciliare allungata da 12 a 18 mesi. Come dire: dateci tempo.

Il presidente della repubblica Napolitano ha evidenziato “la mortificante conferma della incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena”.

Di questo disagio che crea la situazione carceraria italiana ai detenuti ma anche al personale di sorveglianza e a quello sanitario si è reso interprete il Capo dello Stato

In una dichiarazione a caldo, appresa la notizia della sentenza della CEDU, ma soprattutto nel discorso pronunciato in occasione della sua visita al carcere milanese di San Vittore.

 

Per il Capo dello Stato "questa questione, e l'impegno inderogabile che ne discende,debbono essere ben presenti a tutte le forze politiche e ai cittadini-elettori anche nel

momento in cui il nostro popolo è chiamato ad eleggere un nuovo Parlamento. Sia chiaro: sulle strade da scegliere, sugli indirizzi da perseguire in materia di legislazione penale e di politica penitenziaria e anche sulle risorse da impiegare, non solo da tagliare, esistono posizioni diverse tra uno schieramento e l'altro, tra un partito e l'altro. E io oggi non intendo dire nulla che possa anche solo apparire un'interferenza nel dibattito in corso, destinato poi a riaprirsi nelle nuove assemblee parlamentari. Il confronto non potrà non tenere conto di tutti i punti di vista e le proposte, comprese quelle contenute nella relazione presentata nello scorso novembre dalla speciale Commissione istituita dal CSM sui problemi della magistratura di sorveglianza. Ma di certo nessuna parte vorrà, anche in questo momento, negare la gravità dell'attuale realtà carceraria nel nostro paese, negare la gravità e l'urgenza della questione carceraria. Ed è già da considerarsi importante, per le decisioni da prendere liberamente nel futuro questo comune riconoscimento obbiettivo della gravità e urgenza estrema della questione carceraria".

Il Presidente Napolitano ha quindi ricordato che "la violazione che ci si addebita dell'articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo è imperniata sul parametro dello 'spazio vitale del detenuto' che non è oggi garantito nella nostra situazione penitenziaria. Si può aggiungere che il sovraffollamento degli istituti, le condizioni di vita degradanti che ne conseguono, i numerosi episodi di violenza e di autolesionismo - sintomo di una inaccettabile sofferenza esistenziale - le condotte di inquieta insofferenza o dell'articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo è imperniata sul parametro dello 'spazio vitale del detenuto'  che non è oggi garantito nella nostra situazione penitenziaria. Si può aggiungere che il sovraffollamento degli istituti, le condizioni di vita degradanti che ne conseguono, i numerosi episodi di violenza e di autolesionismo - sintomo di una inaccettabile sofferenza esistenziale - le condotte di inquieta insofferenza o di triste indifferenza sempre più diffuse tra i reclusi, la mancata attuazione dunque delle regole penitenziarie europee confermano purtroppo la perdurante incapacità del nostro

Stato a realizzare un sistema rispettoso del dettato dell'articolo 27 della Costituzione

Repubblicana sulla funzione rieducativa della pena e sul 'senso di umanità' cui debbono corrispondere i relativi trattamenti".

Napolitano ha voluto ricordare anche il lavoro del personale di custodia e sanitario che svolgono il loro compito al limite del possibile e poi si è soffermato sul ruolo educativo, sulle attività formative in carcere. 

"L'apertura del carcere alla istruzione, al lavoro, ai rapporti quotidiani con la comunità esterna, sono - ha sottolineato il Presidente Napolitano - un inizio di giustizia, un passo indispensabile per consentire al condannato di raggiungere una più alta coscienza di sé, di generare la spinta morale verso la 'inclusione' nella realtà esterna: solo in tal modo,   l'aspirazione al reinserimento può non essere una utopia e al reo viene offerta la opportunità del recupero sociale. Occorre peraltro prendere coscienza che la responsabilità del trattamento e della risocializzazione non può essere affidata esclusivamente al personale dell'Amministrazione, ma deve estendersi e coinvolgere tutte le articolazioni sociali : dalla famiglia alla scuola, alle istituzioni religiose, alle associazioni di volontariato, al mondo del lavoro. Al mondo imprenditoriale e alla cooperazione sociale - pur nell'attuale momento di crisi economica - va chiesto un adeguato supporto per i profili della formazione, dell'orientamento e dell'inserimento lavorativo".

E a conferma del suo interessamento per questo grave problema italiano, il presidente ha voluto visitare una cella, si è intrattenuto con alcuni detenuti, con gli agenti di custodia e, all’uscita da San Vittore con  una delegazione del Partito radicale venuta a chiedere il rispetto delle regole. Napolitano ha parlato con tutti, ha assicurato il suo appoggio ad un provvedimento in materia, ma ha sostanzialmente detto, che l’ input deve venire dal Parlamento.

Non ostante questa situazione critica, abbiamo scovato un carcere modello, quello di Milano Bollate dove la situazione è in netta controtendenza rispetto alle altre case di pena.

Direttrice di questa casa di pena, fino a poco tempo fa Lucia Castellano,48 anni, napoletana, avvocato, nel 1991 è vicedirettrice del carcere di Marassi (Genova), dal 1995 al 2002 lavora al carcere di Eboli, assume la direzione di Bollate dove applica la formula del carcere-comunità finalizzata al recupero del detenuto.

E’ per portare avanti questo discorso che è scesa in politica. Prima assessore della giunta del sindaco di Milano Pisapìa, ora candidata al Consiglio Regionale nella lista Ambrosoli (centro-sinistra).

L’abbiamo intervistata come esperta del problema.

Dott. Catellano, come si  è arrivati a questa situazione di estremo degrado?

Lo stato italiano ha uno degli ordinamenti penitenziari più garantisti d'Europa. Ciononostante diamo arrivati ad un tale degrado a causa di leggi che definisco "carcerogene", in particolare la legge Finì- Giovanardi sulla tossicodipendenza e la legge "ex Cirielli" sulla recidiva.

 Come si può uscire da questa situazione: con amnistia e indulto? con le depenalizzazioni? intervenendo sulle infrastrutture, sulle strutture murarie, su tutta l’organizzazione delle case di pena? aumentando il personale di sorveglianza?

In primo luogo eliminando le due suddette leggi. In secondo luogo favorendo le misure alternative alla detenzione e applicandole già nella sentenza di condanna, evitando il passaggio dal carcere. I provvedimenti di clemenza, pur auspicabili in alcuni momenti di particolare sovraffollamento, non sono la soluzione se il problema non viene risolto alla radice.

Lucia Castellano con la squadra di calcio dei detenuti del carcere di Bollate prima dell'incontro con la squadra della polizia penitenziaria

 

Molte persone, i cosiddetti “ben pesanti” reagiscono a queste notizie esprimendo lo stesso concetto: “hanno fatto chissà cosa e ora pretendono chissà che”. Non è  certamente il modo corretto per affrontare il problema, ma non potrebbe essere questo modo di pensare a spiegare l’estremo disinteresse di una certa politica che, purtroppo, ha finora imperato nel nostro Paese?

A costoro direi che grazie alla legge ex Cirielli, ad esempio, si finisce in carcere anche per la recidiva nella vendita dei cd contraffatti. Sembra questo ai benpensanti un "aver fatto chissà cosa" ? Il carcere dovrebbe essere l'ultima delle risposte punitive invece, purtroppo, è la prima.

In questa situazione è difficile parlare di lavoro in carcere, di attività e corsi formativi finalizzati al reinserimento nella vita sociale a pena scontata. Perché nel carcere di Milano Bollate, che lei ha diretto fino a poco tempo fa, è stato possibile attuare tutte queste iniziative?

Perché, semplicemente, abbiamo avuto il coraggio di applicare in toto quella legge penitenziaria che, ripeto, è una delle migliori d'Europa.

Il modello Bollate potrebbe essere esportato?

Direi che dovrebbe essere esportato. La legge è uguale per tutti.

Qual è il ruolo delle autonomie locali (comuni,province, regioni) in questo settore?

Un ruolo fondamentale. Le istituzioni cittadine e quelle penitenziarie dovrebbero lavorare come "vasi comunicanti". Il carcere diventare una risorsa per la società, in termini di lavoro e aiuto concreto ai problemi dei cittadini (ad esempio per l'emergenza neve il comune si è servito più volte dei detenuti)

Lei è stata assessore della Giunta Pisapia e candidata come capolista alla Regione Lombardia con Ambrosoli.  Quale sarà, una volta eletta, la sua azione in favore dei detenuti?

La regione può fare molto in tema di reinserimento sociale dei condannati. Chiameremo a raccolta il mondo della cooperazione sociale, così attivo in Lombardia, e costruiremo un sistema di welfare penitenziario aderente ai bisogni del mondo del carcere. Ricordo che grazie al lavoro sul reinserimento dei detenuti il tasso di recidiva a bollate è sceso dal 76 al 12%. Questo significa produrre sicurezza sociale.

 

Lucia Castellano di fronte a Palazzo Marino (foto di Isabella Balena)

 

 

Il Galileo