C’era una volta l’imperatore Costantino

Un opportunista o un santo?

Con l’editto del 313 d.C. riconobbe su tutto il territorio dell’impero la religione cattolica, vietò le persecuzioni e  lasciò libertà di culto

 

 

 

di Magali Prunai

 

 

 

 

Il Sogno di Costantino e  la vittoria di Ponte Milvio. Immagini da un manoscritto delle omelie di Gregorio Nazianzeno

 

 

 

C’era una volta un imperatore che da pagano divenne cristiano, si adoperò molto perché la Chiesa da perseguitata divenisse riconosciuta e molto forte in tutto il mondo e alla fine venne proclamato santo. Ma non tutti sono d’accordo con questa versione della storia.

C’era una volta un imperatore che da pagano si professò cristiano, forse, a seconda delle diverse interpretazioni degli storici, riconobbe la religione cristiana e si adoperò perché questa divenisse forte e riconosciuta e alla fine venne proclamato santo. Ma gli storici non sono ancora tutti concordi.

C’era una volta un imperatore, e questo è un dato di fatto.

Siamo alla fine del 312 d.C., alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio quando Costantino sconfisse Massenzio, che si era autoproclamato imperatore romano. Vinto il rivale, entrato trionfalmente in Roma e proclamato imperatore dell’impero romano d’Occidente, dedicò la sua vittoria al Dio cristiano e proibì le persecuzioni dei suoi seguaci riconoscendone il culto nel territorio dell’impero.

La sera prima della battaglia si narra che l’imperatore abbia avuto una visione che gli ordinò di compiere un determinato gesto, ma su questo punto le fonti non sono chiare e non  tutte concordi fra loro. Alcuni sostengono che la visione gli ordinò di apporre sugli scudi dei propri soldati un segno riferito al Cristo, per la precisione una croce latina con la parte superiore cerchiata come una “P”. Ma non esiste alcuna prova che dimostri la veridicità di questa tesi. Un altro storico del tempo, Eusebio, afferma nella una sua opera “Storia ecclesiastica” che il Dio cristiano abbia aiutato Costantino nel vincere la battaglia, senza, però, mai riferire alcuna visione; mentre nella “Vita di Costantino” descrive in maniera dettagliata la visione affermando di riportarla così come l’imperatore stesso gliela narrò. Costantino avanzava verso le schiere nemiche quando, alzando lo sguardo verso il sole, vide una croce di luce e sotto di essa la frase greca “Εν Τουτω Νικα” (con questo vinci) e di aver in seguito sognato il Cristo che, interpretando la visione, spiegava di usare il segno della croce contro i suoi nemici. (A sinistra: il Busto di Costantino conservato ai Musei Capitolini.

Molti storici, dell’antichità e più moderni, hanno riportato questa fonte per avvalorare la tesi della sua conversione e spiegare, così, l’editto di tolleranza del febbraio del 313 d.C.: editto col quale si riconosceva su tutto il territorio dell’impero la religione cristiana, si vietavano le persecuzioni e si lasciava libertà di culto. Ma molti altri storici hanno sempre sostenuto che la motivazione dell’editto fosse quella di assicurare maggiore pace sul territorio dell’impero e che Costantino usasse la sua presunta conversione come “instrumentum regni”, distinguendo i suoi comportamenti privati da quelli pubblici. Se in pubblico, per ragioni politiche, si mostrava seguace di una convinzione religiosa, non è provabile che privatamente la condividesse tanto che si racconta che in punto di morte abbia messo in forse il battesimo, ritenuto uno dei più importanti fra i sacramenti.

Certo è, comunque, che la scelta di Costantino fu principalmente politica. Concedere la “tolleranza”a chi era stato perseguitato fino a un momento prima mirava a rafforzare il suo potere sul territorio.

Inoltre l’imperatore leggeva il concetto di Pax romana come “Pax deorum”, interpretandola in chiave cristiana: la forza dell’impero non deriva solo dalle azioni di un principe illuminato, da una saggia amministrazione, da un esercito ben organizzato e disciplinato, ma direttamente dalla benevolenza di Dio. Mentre, però, nella religione romana vi era un diretto rapporto tra il potere imperiale e la divinità, l’imperatore cristiano non poteva ignorare la Chiesa come struttura organizzata. E non poteva, soprattutto, ignorare le sue gerarchie, uniche mediatrici fra il potere imperiale e quello divino.

Costantino, in sostanza, è stato il primo responsabile del sempre più forte potere della Chiesa nel corso della storia. Il suo editto riprendeva quello già emanato nel 311 d.C. da Galerio, imperatore romano d’Oriente durante la tetrarchia (periodo durante il quale l’impero venne diviso in quattro parti: due in oriente e due in occidente), che concedeva solo un’indulgenza ai cristiani, ma non riconosceva loro alcun potere politico.

L’editto di Costantino, (ritratto a destra da un mosaico nella chiesa di Santa Sofia a Istanbul) chiamato anche rescritto perché fortemente influenzato da quello di Galerio, aprì le porte di una nuova era storica che man mano si è sempre più rafforzata finché nel 380 d.C. l’imperatore Teodosio, con l’editto di Tessalonica, proclamò il cristianesimo religione di stato e riconobbe alle due sedi episcopali di Roma e Alessandria d’Egitto il primato in materia teologica.

C’era una volta un imperatore che, illuminato e saggio, aprì il suo impero a tutti in nome della “pace”. Riconobbe la dignità e vietò la persecuzione dei seguaci di una religione particolare, il cristianesimo, perché così il suo regno sarebbe stato più forte e duraturo. C’era una volta un imperatore che rafforzò il suo potere, accrescendolo notevolmente attraverso una semplice e banalissima legge. C’era una volta un imperatore che da pagano divenne cristiano, forse, che la chiesa cristiana ortodossa e alcune chiese orientali proclamarono santo e “simile agli apostoli” ma che più che compiere un’opera pia rafforzò notevolmente il suo potere con un’abile mossa politica. Ma se questo saggio e illuminato sovrano condividesse anche nella sua intimità le idee professate in pubblico non è dato saperlo.

C’era una volta un imperatore, e questo è un dato di fatto.

 

IL GALILEO