Ricercatori, siate
artisti…
Intervista al Premio
Nobel Levi Montalcini
e a Enrico Garaci
presidente Istituto superiore di sanità
di Luisa Monini
Tutti
d’accordo con Karl Raimund Popper quando afferma che ogni scoperta contiene un
elemento irrazionale o un’intuizione creativa. Perché di intuizione,
immaginazione e creatività, insomma di tutto ciò che sfugge ad un logico, freddo
e programmato protocollo di ricerca, si è parlato in un incontro con la prof.ssa
Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina 1986 ed il prof. Enrico
Garaci, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. Ho avuto la felice
opportunità di incontrarli in occasione della loro venuta a Brescia per la
giornata inaugurale dell’anno
golgiano. Un anno che si annuncia denso di eventi scientifici e culturali
promossi dagli atenei di Brescia e Pavia per ricordare
la figura e le opere di Camillo Golgi, in occasione del centenario del
Nobel per la medicina a lui conferito nel 1906.
Prof.ssa
Montalcini (nella foto sotto a colloquio con Luisa Monini): scienziati, si nasce
o si diventa? Lei come si è avvicinata alla scienza? In cosa la ricerca di un
tempo si differenzia da quella di oggi?
Io sono entrata nel mondo della scienza più che
altro perché affascinata dalla bellezza del sistema nervoso. Più come artista
dunque che come scienziata. La mia
famiglia era una famiglia di artisti. Mio fratello Gino, la mia gemella Paola e
mia madre anche lei artista. Io sono entrata dunque nel mondo della
scienza
non con l’idea di fare scoperte, che per fortuna ho fatto, ma totalmente
affascinata dal sistema nervoso. La mia ricerca però era una ricerca
artigianale, non era scienza - precisa ancora il nobel,
e candidamente rivela -
Io non ho mai saputo, e lo confesso,
tenere un protocollo. Il mio era intuito e questo mi è servito. Tuttavia la mia
ricerca era tecnologicamente di basso livello, basti pensare che il mio bisturi
era un ago da cucire che affilavo sulla mola. - E ricorda il suo primo
laboratorio: Lo avevo allestito nella
mia camera da letto, a Torino durante
i tempi della persecuzione antisemita. Era il 1940. Avevo sistemato il
tavolo con la cassetta nella quale operavo gli embrioni di pollo di fronte alla
finestra prospiciente il cortile del palazzo. Tra il tavolo operatorio ed il
letto, su due altri tavoli disposi il microtomo ed il
microscopio Zeiss; addossata alla parete opposta a quella occupata dal
letto, avevo collocato una istoteca nella quale conservavo le sezioni seriate
degli embrioni, l’incubatrice ed il termostato. Così condussi le mie ricerche di
neuroembriologia che più in là negli anni mi avrebbero portato alla scoperta del
n.g.f. (nerve growth factor) e quindi agli onori di Stoccolma. Oggi la ricerca è
totalmente diversa. A cominciare dai ricercatori che lavorano
in gruppi, in team. I mezzi a loro disposizione
sono tecnologicamente talmente avanzati
da far pensare che siano passati secoli e non anni
dalle mie ricerche giovanili.
Dunque
per i nostri giovani ricercatori è tutto più semplice? Tutto rose e fiori?
Niente affatto - replica la prof.ssa -
tante le difficoltà che nascono
soprattutto dalla competizione . Io non avevo competizione attorno a me. Ero
entrata in una giungla in cui nessuno, neppure i miei due compagni che mi
avevano preceduto a Stoccolma, Luria e Dulbecco, erano interessati ad entrare.
Loro erano impegnati su altri fronti: Salvator Luria nello studio dei virus e
Renato Dulbecco in quello dei tumori. Io ero, per mia fortuna direi, sola nella
giungla, totalmente affascinata dal sistema nervoso. Oggi la situazione è
completamente diversa perché sono in centinaia a lavorare sullo stesso problema.
C’è una competizione enorme e forse, per caso, qualcuno vincerà. L’intuito da
solo, non basta più.
Comunque
la ricerca di base va aiutata e sponsorizzata perché è solo immaginando
ciò che oggi non c’è ma che domani potrebbe esserci che si potranno trovare
punti di appiglio nuovi per la diagnosi e la terapia di tante malattie.
Ed allora - interviene
Garaci - è anche un problema di comunicazione che va dato alla popolazione
perché molto spesso si considera la ricerca un investimento di lusso mentre
esistono realtà ben documentate in cui si dimostra che l’investimento in ricerca
ha prodotto salute e quindi anche un risparmio notevole per il sistema
sanitario. Basti pensare all’evoluzione del trattamento dell’aids con i farmaci
antiretrovirali. Prima della scoperta di questi farmaci, i pazienti di aids si
ricoveravano in ospedale. Oggi non è più così perché anche se di aids non si
guarisce, però lo si può curare bene con questi farmaci. Ed ancora: i tumori.
Oggi si muore molto meno per le varie forme tumorali. Questo grazie alla
ricerca.
Enrico
Garaci tiene a ribadire
il concetto che l’intuizione, la creatività e
la genialità sono doti preziose che possono condurre a scoperte
impensabili ma aggiunge convinto -
non si possono fare le nozze con i fichi secchi. Vale a dire: non può esistere
ricerca biomedica senza investimenti. Ma chi investe in ricerca? Cifre alla mano
Garaci ricorda che l’Italia destina lo 0.65% del P.i.l al finanziamento della
ricerca pubblica, più della Gran Bretagna (0.55 P.i.l.), più del Giappone (0.58%
P.i.l.) in linea con l’U.E. (0.66%) e addirittura vicino agli Stati Uniti
d’America (0.76% P.i.l.).
Perché
le aziende private in Italia non investono nella ricerca? Com’é la situazione
attuale rispetto a 20-30 anni fa?
Una volta, parlo degli anni ‘70-‘80, quando io
ero assistente la collaborazione tra pubblico e privato per ragioni ideologiche,
era malvista. Oggi la realtà sta cambiando e si è passati dal vecchio modello di
tipo verticale in base al quale si produceva all’università quello che si voleva
in termini di conoscenza, poi le nuove acquisizioni venivano trasferite agli
enti pubblici di ricerca e da questi, al settore privato. Oggi si
crede in un modello orizzontale, integrato che vede sin dall’inizio il settore
privato e quello pubblico portare
avanti la stessa progettazione. Dunque oggi ci sono strumenti finanziari messi a
disposizione soprattutto dal Ministero della Università che favoriscono questo
processo. Anche al Ministero della Salute abbiamo sperimentato delle forme di
cofinanziamento, al 50%, pubblico-privato, che hanno prodotto risultati molto
interessanti.
Garaci
(foto a destra) sottolinea inoltre che l’investimento privato, anche se ben
accolto, non deve rappresentare un surrogato all’investimento pubblico e questo
a garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della ricerca stessa.
Alla fine denuncia: “quello
che manca in Italia è il trasferimento tecnologico dei risultati della
conoscenza. Oggi noi produciamo una grande quantità di conoscenza,
qualitativamente elevata, ma non siamo in grado di trasformarla in un valore
economico e sociale. Manca dunque un percorso che faciliti lo sfruttamento
economico delle scoperte, tanto che in Italia scarseggiano ancora i brevetti.
L’intervento delle industrie in tal senso può essere molto importante.”
La
prof.ssa Rita Levi Montalcini si dice totalmente d’accordo con quanto espresso
dal prof. Garaci e, riportando anche il pensiero del grande fisico Federico
Capasso, ricorda che in Italia non
solo manca il riconoscimento della capacità intellettuale dei nostri ricercatori
ma anche l’aggancio per portare avanti il risultato delle ricerche. Sino ad oggi
l’industria non ha risposto come
doveva all’imperativo di utilizzare al massimo il capitale umano. In
attesa dunque che la ricerca anche da noi venga considerata una risorsa e
non un costo, il suggerimento della prof.ssa Montalcini è quello di investire
nell’innovazione e nel ‘capital
venture’. Parola sconosciuta nel nostro paese in termini di presa di coscienza
dell’esistenza di giovani ricercatori che osando osare portano avanti ricerche a
rischio. In Italia li chiamiamo ‘arrivisti’ o ‘carrieristi’. L’America
al contrario, stimola e
finanzia chi ha idee anche se sono idee a rischio. E chissà. Può darsi
che domani la guarigione di tante malattie venga proprio da loro. Da chi ha
visto oltre, senza vedere, né sapere dove andare. E per dirla con il grande
Einstein “Se avessimo saputo che cosa
stavamo facendo non l’avremmo chiamata ricerca. Giusto?”
Giusto!
Questa è la vera ricerca di base!