Giorgio Brunelli, uno dei
pionieri della microchirurgia, si racconta a Il Galileo
IL CORAGGIO DI IPPOCRATE
“La conoscenza è ricerca
della verità – ricerca di teorie chiarificatrici, oggettivamente vere.
Essa non è ricerca di certezza…”
K. Popper[1]
di Giorgio Brunelli
www.midollospinale.com
“
Le tue radici sono profonde nella tua terra e ti trattengono nel tuo Paese,
anche se sei lontano nello spazio e nel tempo. Non dimenticare le tue radici.
Senza radici non hai linfa, senza radici non puoi vivere, senza radici non
cresci, senza radici non ti riconosci, senza radici non hai cultura, senza
radici non… voli ”
Ho scritto questo aforisma in un
momento di particolare consapevolezza e gratitudine verso tutto ciò che nel
corso della mia lunga esistenza mi ha aiutato a crescere e a
realizzarmi come medico e, soprattutto, come uomo. E’ strano parlare di
me, soprattutto in riferimento al passato, ai progetti pensati e poi realizzati
spesso in contrasto con le teorie correnti e gli insegnamenti accademici. Ancora
oggi, nonostante l’età avanzata, mi piace guardare avanti e pensare a soluzioni
innovative che possano cambiare il destino di tante persone affette da malattie
riguardanti l’apparato locomotore. Amo le sfide, le ho sempre amate. Come
quando, appena laureato, mi dedicai alle lesioni della mano, così frequenti
allora ( si era nel periodo post-bellico con industrie che fiorivano ovunque
senza alcuna protezione e prevenzione degli incidenti sul lavoro) e per lo più
abbandonate all’ultimo e meno preparato degli assistenti. Le fini tecniche,
diagnostiche e chirurgiche, che avrebbero più in là caratterizzato la chirurgia
della mano, erano ancora tutte da inventare. Fu così che iniziarono i miei
viaggi all’estero per imparare il
più
possibile da quei pochi pionieri europei e americani che si dedicavano alla
mano, struttura estremamente complessa dal punto di vista anatomico e funzionale
ma, soprattutto, importante organo di relazione. La mano accarezza, la mano
prega, la mano chiede, la mano parla, la mano indica, la mano aiuta, la mano
sente e vede. E opera…
sconosciute, da guardare a
debita distanza e, soprattutto, da non toccare quando li si incrociava nel
campo operatorio. Iniziai così, primo in Italia, con il microscopio
chirurgico, a studiare meticolosamente
con fini dissezioni e con stimolazioni
elettriche intraoperatorie i nervi periferici per localizzare, al loro
interno, la posizione di fasci di fibre con funzioni diverse; questo, al
fine di affrontare in modo corretto le fibre motrici e sensitive per
riottenere una corretta funzione. Ho disegnato decine di mappe dei vari
nervi per uso mio personale che poi, ulteriormente arricchite, hanno
rappresentato per decenni la guida a giovani chirurghi che intraprendevano
la difficile arte della microchirurgia nervosa.
Per operare bene nervi e vasi occorrevano anche strumenti particolari che
allora non esistevano. Alcuni ne fabbricai io, modificando per esempio le
mollette dei capelli delle donne da usare come clamps che servivano per
arrestare temporaneamente il flusso sanguigno mentre si riparavano i vasi di
piccolo diametro ( 2-3 mm e anche meno ), altri erano già sul mercato come
le fini pinze da orologiaio. Altri ancora li ottenni dalle Aziende
produttrici di strumenti chirurgici dopo aver discusso con
i loro ingegneri le caratteristiche “ microscopiche” degli strumenti
stessi. In realtà il set di ferri microchirurgici consisteva di pochi
attrezzi delicatissimi e specializzati come: forbicine rette e curve,
approssimatori, pinze rette e curve, portaghi. Anche gli aghi e i fili erano
particolarmente sottili, tanto da essere visibili solo sotto il microscopio.
Iniziava così la grande avventura della microchirurgia in Italia e nel resto
del mondo che consentì interventi mai immaginati sino ad allora. Molti i
campi della chirurgia generale e specialistica che furono travolti dal
ciclone della microchirurgia ampliando così enormemente le loro possibilità
di intervento e dunque di guarigione di tante malattie sino ad allora senza
soluzioni.
Il campo dell’ Ortopedia si
arricchì ben presto di interventi molto particolari ed efficaci. Come quelli
sul plesso brachiale ( intricata struttura di nervi che
dal collo si dirigono alle braccia passando sotto la clavicola e poi
nell’ ascella ). Si era agli inizi degli anni ’70 e l’amico Algimantas
Narakas a Losanna aveva cominciato a operare con tecnica
microchirurgica le paralisi di plesso brachiale sempre più frequenti a causa
degli incidenti motociclistici.
Decisi di andare a vedere i
suoi interventi e, tornato in Italia, cominciai questa chirurgia difficile e
complessa. In quel periodo operammo, presso il dipartimento di Ortopedia e
Traumatologia degli Spedali Civili di Brescia, oltre 1000 persone affette da
paralisi dell’arto superiore da lesione di plesso, con risultati molto
soddisfacenti nel recupero funzionale del braccio che, in termini pratici,
equivale a dire che centinaia di persone sono tornate alla vita attiva e
lavorativa. Ci voleva coraggio sia perché l’ intervento era di difficile
esecuzione tecnica sia perché il successo non era sempre garantito. Tante le
variabili che entravano in gioco.
Di bello allora c’era che il
malato si affidava ciecamente al chirurgo, che interveniva secondo scienza,
coscienza e, appunto, coraggio.
Un altro intervento che la
microchirurgia rese possibile e che eseguii con notevole trepidazione fu il
reimpianto totale di un arto amputato. Era il 1973. Il mio primo reimpianto
( e primo in Europa ) aveva il dolce volto di Luciano, un ragazzo di13 anni
che aveva perso il braccio nella lavatrice industriale dell’ azienda di
famiglia. Ricordo che arrivò una sera di Luglio in Ospedale. Il braccio non
era con lui. Chiesi subito di andarlo a prendere, ovunque fosse. Io ero
pronto, tecnicamente pronto, grazie alla microchirurgia sperimentale che
praticavo ogni giorno nel laboratorio di ricerca.
Luciano fu il primo di
innumerevoli reimpianti eseguiti con successo da me e dalla mia equipe. In
breve tempo Brescia divenne Centro di riferimento per i reimpianti che
arrivavano da tutte le parti d’Italia e dall’estero, ma anche Centro di
formazione per i numerosi chirurghi che frequentarono i 37
corsi teorico-pratici di microchirurgia. La strada era ormai aperta e
cominciarono a nascere vari Centri di Microchirurgia sparsi in tutt’Italia.
E non solo! A frequentare il Corso un bel giorno venne un medico italiano,
Antonio Salafia, che da anni viveva in India dove prestava la sua opera di
chirurgo presso il lebbrosario “ Vimala Dermatological Center “di Mumbay.
Desiderava imparare le tecniche microchirurgiche per operare meglio i suoi
lebbrosi. Andammo così in India e lì portammo il nostro corso
teorico-pratico (la Zeiss fornì, a titolo totalmente gratuito, 40 microscopi
chirurgici). Facemmo scuola anche lì e oggi a Mumbay la responsabile del
dipartimento di microchirurgia ricostruttiva presso il Tata Memorial
Hospital dell’Università è la
dott.ssa Prabha Yadav che imparò la microchirurgia in quella occasione, ne
rimase affascinata e da allora la applica con successo soprattutto in campo
oncologico, salvando centinaia di vite umane ogni anno.
Desidero a questo punto fare
un passo indietro, in un periodo a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 quando,
giovane primario presso l’Ospedale Civile di Chieti, mi capitava spesso di
visitare persone affette da grave artrosi alle anche. Andai dunque ad
imparare dai maestri. La mia
prima meta fu Parigi, dal grande Merle D’ Aubignè
che insegnava la “ resezione testa e collo “ che toglieva sì il
dolore ma lasciava una grave invalidità; la seconda meta fu l’ Inghilterra
dove, all’ inizio degli anni ’60, Mckee e Charnley avevano iniziato a
eseguire le protesi totali d’ anca. Tornato a Chieti decisi di mettere in
pratica quanto avevo visto e imparato.
Non dimenticherò mai la notte
insonne e le preghiere nella cappella dell’ Ospedale alle 5 del mattino,
prima di entrare in sala operatoria per eseguire la mia prima protesi totale
d’anca. Era la prima in Italia e avevo già ricevuto la benedizione di noti
cattedratici con minacce di denuncia al Procuratore della Repubblica qualora
fosse stato necessario rimuovere la protesi. Correva l’anno 1963 e per due
anni fui il solo chirurgo italiano a fare questo tipo di chirurgia,
criticato dalla quasi totalità dei miei colleghi. Ci voleva un bel coraggio
a quei tempi a mettere una protesi d’anca metallica cementandola nell’ osso!
Una vera e propria rivoluzione concettuale e culturale che la tecnica
rendeva possibile.
Dal mio canto ho sempre
creduto nel progresso e nella ricerca e poi…il veder camminare
persone prima confinate nella sedia a rotelle era la più grande
soddisfazione e la più bella ricompensa al mio impegno e ai i miei
sacrifici.
Molti chirurghi vennero a
Chieti prima, a Brescia poi, a imparare la tecnica operatoria per applicarla
poi nelle loro sedi e oggi la protesi totale d’anca è un intervento di
routine che dà grandi soddisfazioni ai malati, ai chirurghi e, non ultimo,
alle Aziende Ospedaliere! Alla fine degli anni ’70 i numerosi malati di
artrosi d’anca avevano altrettanti numerosi chirurghi ortopedici in grado di
intervenire con successo per risolvere il loro problema. A Brescia avevamo
raggiunto un livello di eccellenza anche in quel settore e arrivavano
persone soprattutto dal Sud Italia. Quelli furono anni in cui la corsia non
esisteva più, nel senso che non bastava più a contenere i malati che si
ricoveravano con la speranza di
entrare in nota operatoria il più presto possibile.
Numerosi erano i
giovani paraplegici che arrivavano nel mio
reparto nella speranza di trovare per le loro gambe la soluzione che
si era riusciti a trovare per le paralisi di plesso brachiale ma tutti gli
esperimenti che avevo condotto sino ad allora su modello animale purtroppo
avevano dimostrato che il midollo
non era permissivo a ricevere gli assoni provenienti dal cervello.
Non mi scoraggiai e, convinto più che mai della necessità di continuare la
ricerca sulla riparazione midollare, accettai la
sfida. Dopo anni di interventi sperimentali con diversi protocolli
operatori eseguiti da me in Italia e all’ estero, ebbi l’ idea di
connettere, per mezzo di un innesto nervoso, i prolungamenti delle cellule
nervose del cervello con i nervi di alcuni muscoli delle gambe, escludendo
il midollo sottostante la lesione. Con questa tecnica operammo, tra gli
altri, una giovane donna che, in seguito ad incidente stradale, aveva
riportato la lesione totale del
midollo a livello della ottava vertebra toracica. Gigliola, questo il suo
nome, dopo l’intervento e un lungo periodo d’intensa riabilitazione, ha
iniziato a muovere i primi passi, pur se rudimentalmente, prima sul girello,
poi sui tetrapodi. Questo perchè i prolungamenti delle cellule cerebrali
raggiungendo i muscoli, hanno formato delle nuove placche motrici, capaci di
rispondere al neuro-trasmettitore
glutammato proprio del Sistema Nervoso Centrale e non più all’
acetilcolina, neuro-trasmettitore
periferico. Questa risposta al glutammato era assolutamente
imprevedibile e ci spronò ad
andare avanti nella ricerca che, grazie anche ai preziosi suggerimenti della
prof. Rita Levi Montalcini, divenne una vera e propria ricerca di base
multidisciplinare con il coinvolgimento degli scienziati dell’Università di
Brescia . Con questi studi
abbiamo dimostrato la capacità del muscolo di trasformare i suoi recettori
normali acetilcolinici in recettori capaci di rispondere al glutammato che è
il neurotrasmettitore dei neuroni cerebrali. Il 14 giugno 2005 la
prestigiosa rivista ufficiale dell’Accademia Nazionale delle Scienze
Americana ( P.N.A.S.
2005) ha pubblicato i risultati
della nostra ricerca.
Anche un’altra prestigiosa rivista americana
“ Current opinion
in neurobiology 2006 “
ha dedicato spazio al lavoro intitolando l’articolo “
Un paradigma perduto “ con
chiaro riferimento al risultato ottenuto da questa ricerca che ha perso un
paradigma ed ha trovato una nuova verità mai svelata né pensata da essere
umano.
Non
posso non pensare alla prof. Rita Levi Montalcini e al suo pensiero sulla
ricerca libera e indipendente. Più di una volta l’ho sentita esortare
i giovani ricercatori a portare avanti anche
ricerche a rischio nella convinzione che la soluzione di tante malattie
possa giungere in un futuro proprio da tutti quelli che hanno avuto il
coraggio di osare.
Desidero aggiungere che tra gli atti di
coraggio richiesti al medico e ricercatore di oggi, se ne chiede uno, di
importanza fondamentale: il coraggio di non impadronirsi delle malattie e
bisogni altrui! Soprattutto
nella attuale società globalizzata dove si intrecciano differenti storie,
religioni, culture, colori, dobbiamo
prendere in considerazione parametri differenti. Bisogna avvicinarsi
a ogni singolo individuo in modo molto discreto, a seconda delle sue reali
necessità. Ogni malato deve essere coinvolto in prima persona nelle cure che
gli vengono proposte e, soprattutto, deve essere libero di accettarle così
come di rifiutarle.
[1] Popper Karl, Verso una teoria evoluzionistica della conoscenza, Armando Editore, Roma, 1994
*Il prof. Giorgio Brunelli è stato direttore della Clinica Ortopedica
dell’Università di Brescia fino al 1997. Ha
scritto 460 articoli scientifici, 35 capitoli su testi italiani e stranieri,
di 12 testi e di 9 monografie. Ha eseguito più di 25.000 interventi, 3.500
dei quali di microchirurgia.
E’ insignito della Laurea Honoris Causa all’ Università di Wroslaw ed è membro dell’ Accademia delle Scienze di New York, socio onorario di numerose società scientifiche italiane e straniere e
“Pioneer” della International Federation
of Societies for Surgery of the hand.; Pioneer
della WRSM (Società Mondiale di Microchirurgia Ricostruttiva)
-Fondatore della International Society of Reconstructive
Microsurgery, della International Society of Microsurgery, della Società
Italiana di Chirurgia della Mano e della Società Italiana di Microchirurgia
e della Società europea per la ricerca in microchirurgia.
-Autore
di varie tecniche chirurgiche personali.
Fu il primo in Italia ad eseguire protesi totali dell’anca (1964) e
reimpianti d’arti (1973). Ha una delle più cospicue casistiche al mondo di
chirurgia sul plesso brachiale (più di 1.000 interventi) e di reimpianti
(più di 1.000). Ha organizzato numerosi Corsi superiori di chirurgia della
mano e di microchirurgia
-Dal 1980 conduce ricerche sulla possibilità di guarire la
paraplegia traumatica.
Premio Chatwin 2003 per la ricerca nel mondo.
-Premio Ippocrate 2003.
-Dal
2001 la fondazione da lui diretta ha una convenzione con la facoltà di
medicina dell’Università di Brescia
-Promotore dell’ESCRI (Istituto Europeo di Ricerca sul Midollo Spinale).