Un progetto ambientalista in collaborazione con l’industria privata

CLAUDIO SMIRAGLIA, IL GLACIOLOGO CHE SALVA L’ACQUA

 

I ghiacciai alpini sono a rischio e con loro un grande quantitativo di acqua dolce -  Sperimentato un sistema protettivo che riduce lo scioglimento dei nevai

 

 

di Pia Bassi

 

Pubblico numeroso alla conferenza presso l’Università Statale di Milano: “Acqua, ghiacciai e cambiamenti climatici”, argomenti da anni dibattuti e ora più che mai all’ordine del giorno visto che il tanto temuto e preannunciato scioglimento dei ghiacciai “eterni” su tutto il globo terrestre è una verità certificata e non un allarme capzioso e fisima degli ambientalisti come governi hanno più volte dichiarato pur di non firmare i trattati di Kyoto sul contenimento della CO2 e altri gas responsabili dell’effetto serra.

         Claudio Smiraglia, decano dei glaciologi italiani, professore del Dipartimento di Scienze della terra dell’Università statale di Milano, è da trent’anni che denuncia la perdita di massa dei ghiacciai dell’arco alpino italiano e questa giornata conferenza voluta dall’Università e da Levissima, una delle acque minerali del Gruppo San Pellegrino, ha portato il pubblico per mano fra le vette innevate del ghiacciaio Dosdè-Piazzi, in alta Valtellina, circa 1 Kmq. di superficie, dove da oltre cinquant’anni si studiano le variazioni di lunghezza e di massa.

         Dal Dosdè sgorga un’acqua purissima, che Levissima porta sulle nostre tavole come acqua minerale naturale e frizzante. “E’ proprio con Levissima, interessata in primo piano a salvare il ghiacciaio, che nel 2008 – spiega Smiraglia – si è sperimentato per la prima volta in Italia una tecnica di riduzione della fusione nivoglaciale coprendo una superficie  di 150 mq. con il “geotessuto” speciale bianco che blocca i raggi UV, proteggendo neve e ghiaccio da un repentino scioglimento in acqua causato dalle alte temperature estive”.

 Questo metodo era già stato usato con successo in Austria per le piste di sci. Il “sarcofago” di ghiaccio che emerge dal Dosdè è stato visitato durante l’estate da numerosi turisti, meravigliati dall’abbassamento della superficie del ghiacciaio non protetto.

D. – Prof. Smiraglia, il metodo è quindi replicabile altrove in caso di necessità?

R. – “E’ complicato ma fattibile. L’esperimento è proseguito nel 2009 con la stesura di un nuovo telo protettivo geotessile. Con alcuni termometri posti sotto il telo abbiamo misurato la “febbre” del ghiacciaio durante l’estate. A noi si è unito il Politecnico di Milano, gruppo di idrologia che ha monitorato la portata dei torrenti del Dosdé Piazzi e hanno proseguito alla valutazione dei bilanci idrologici dei bacini glaciali. Allo scopo sono state montate una stazione permanente di misurazione della portata del torrente Dosdé e una stazione meteo in Val Dosdé per misurare le precipitazioni solide e liquide per ottenere un bilancio idrologico esatto. In pratica abbiamo calcolato quanta acqua di fusione fluisce nel torrente”.

Possiamo dire che senza il telo protettivo si perde tutta la neve primaverile, mentre con il telo la fusione si riduce del 40-50%. Sono stati studiati i torrenti epiglaciali  che si formano quando la superficie del ghiacciaio si rompe, le acque scorrono tumultuose a valle in letti di nuova formazione.  Alcuni di essi sono dei grandi tunnel percorribili d’inverno quando sono ghiacciati.

D. Prof. Smiraglia in questo modo entrate nelle viscere del ghiacciaio e potete studiare ghiacci antichi?

R: “Studiamo la conformazione di ghiacci formatesi anche secoli addietro, facciamo rilievi e prelievi. I nostri studi si estendono a ghiacciai nascosti da pietrisco, si presentano neri, sono il permafrost, un indicatore climatico importante e poco conosciuto. Abbiano iniziato a studiarli e monitorarli nel 2010 in collaborazione con Levissima, i ricercatori dell’Università degli studi di Milano e con l’Università di Varese. Nell’estate del 2010 abbiamo installato alcuni termometri sulla cima Piazzi, 3500 m. per studiare il permafrost che è il collante delle rocce. Quando si scioglie, le rocce diventano friabili e precipitano a valle. Abbiamo rilevato che a 50 cm. di profondità la roccia non è più ghiacciata, ciò significa che l’aumento generale della temperatura mette a rischio l’essere delle superfici a permafrost.”

         Uno dei primi studiosi del permafrost fu il prof. Giuseppe Nangeròni, glaciologo, che aveva stilato un utile catasto che sta per essere aggiornato. Questo processo di sfaldamento delle rocce è in atto da anni in alcune aree dell’arco alpino, sulle Dolomiti alcuni sentieri sono diventati pericolosi e chiusi al trekking. Sembra che il destino delle Alpi, versante sud, sia di diventare come la catena montuosa dei Pirenei, i cui ghiacciai sono scomparsi da anni. Un tempo le vette Picos de Europa (oltre 2600 m.) della Cordigliera Cantabrica, brillavano come diamanti ed erano visibili per miglia ai navigatori dell’Oceano Atlantico che si avvicinavano al porto di Santander, Spagna. Queste vette presentano d’estate chiazze di neve, e dove c’era il ghiaccio ci sono prati, fiori, arbusti che hanno velocemente colonizzato questi nudi areali.

D. - Prof. Smiraglia, questi scenari futuri cambieranno il numero dei ghiacciai italiani, sia quelli delle Alpi che degli Appennini?

R. “Si prospettano nuovi paesaggi. Già il ghiacciaio del Calderone sul Gran Sasso in Abruzzo, il più a sud d’Europa, è ridotto. Grandi ghiacciai si spezzano in piccoli ghiacciai. Il nuovo catasto che stiamo attuando anche grazie alla collaborazione di Ev-K2-CNR e il Comitato Glaciologico Italiano terrà presente la situazione attuale che è per sempre in evoluzione. Il vecchio  catasto stilato dal 1959 al 1962 e aggiornato nel 1980 contava 830 corpi glaciali per 482kmq. I cambiamenti climatici stanno riducendo la superficie dei ghiacciai, ma spezzandosi il loro numero può anche aumentare.”

 Attualmente i ghiacciai racchiudono 17 miliardi di m3 d’acqua e l’acqua dolce pulita è fondamentale per la vita e i ghiacciai sono un formidabile magazzino prezioso per acqua atta all’uso alimentare, per la vita di fiumi e laghi che servono all’agricoltura, per la produzione di energia elettrica. La sua mancanza cambierebbe non solo i paesaggi a che siamo soliti ammirare, ma l’economia di migliaia di valli e attività umane.

Il colore dei ghiacciai sta cambiando. Si era soliti decantarli : “eterni e immacolati”, ma constatiamo che non sono affatto eterni e tanto meno immacolati. Il mantello nevoso di molti ghiacciai è ricoperto di detriti che vengono trascinati lentamente a valle. Con l’ortofoto aerea d’estate si scoprono finestre rocciose di 5-6 mq., a fine estate sono 25 mq. Le rocce si riscaldano e sciolgono il ghiaccio circostante. Il Prof. Maggi del Politecnico di Torino ricorda che la città di Torino conserva il più grande archivio fotografico e di disegni dei ghiacciai di tutto l’arco alpino.

La rete SHARE (Stations at High Altitude for Research on the Environment) sviluppata e gestita da Ev-K2-Cnr, raccoglierà tutti i dati dei ghiacciai dell’arco alpino, un compito delicato visto che dal 2003 al 2007 la riduzione glaciale si è triplicata e tutti i ghiacciai del gruppo Dosdé-Piazzi hanno subito una riduzione di oltre il 60% in poco più di mezzo secolo.      

 

 Stazione meteo sul ghiacciaio

IL GALILEO