Gli esiti della COP 28 di Dubai

 

di Bartolomeo Buscema

Ora che i riflettori si sono spenti sull’ultimo summit mondiale sul clima, COP 28, tenutosi a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre 2023, cerchiamo di fare il punto su quanto si è deciso cominciando dal contesto climatico mondiale prima dell’apertura dei lavori.

Il riscaldamento globale negli ultimi anni sta progressivamente accelerando nonostante alcuni dati positivi provenienti dai mercati delle fonti  rinnovabili e dalle azioni di efficienza energetica. La concentrazione di anidride carbonica, il principale gas serra, supera ormai del 50% i valori dell’inizio della Rivoluzione industriale. Il 2023 è stato l'anno più caldo mai registrato. Tale scenario sembra essere foriero di un futuro non certamente roseo, un quadro corroborato da una convergente visione di moltissimi climatologi i quali hanno sottolineato che non è più possibile evitare di sforare la soglia più ambiziosa dell’accordo di Parigi, cioè un incremento della temperatura media globale di 1,5 °C rispetto al valore  medio preindustriale. Un quadro critico che trova conferma nei fenomeni meteorologici estremi che si susseguono con frequenza maggiore in varie parti del mondo e che rappresentano un potente campanello d’allarme. Siamo in emergenza e ciò che si sta facendo è palesemente inadeguato a contenere e invertire la crescita delle emissioni. Sul versante dell’adattamento climatico si è veramente fatto pochissimo. Solo l’Australia ha deciso di offrire la residenza agli abitanti delle isole di Tuvalu a rischio di essere inghiottite dall’oceano. Pur in tale contesto, i lavori sono iniziati con una sensibile accelerazione con l'approvazione di un fondo  monetario di compensazione per i danni e le perdite causati dal riscaldamento climatico nei Paesi vulnerabili. Lo strumento finanziario, abbozzato a Sharm el Sheik nella COP 27, ha avuto le prime promesse di finanziamento destinate al gruppo delle quarantasei nazioni più povere al mondo, meno inquinanti ma più colpite. Il fondo sarà finanziato da contributi volontari. Avremmo preferito che fossero obbligatori. Nei giorni successivi i negoziati si sono pian piano arenati per poi disincagliarsi, nei giorni precedenti la chiusura dei lavori, grazie a un accordo tra gli Stati Uniti e la Cina. Quest’ultima, responsabile del 31% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra, produce il 60% del proprio fabbisogno di elettricità utilizzando centrali a carbone. Per tale combustibile, si è parlato di accelerare gli sforzi verso la riduzione graduale dell’energia prodotta dal carbone ‘unabated’, ossia quella che produce emissioni che non sono abbattute. Invece, gli impianti le cui emissioni sono abbattute tramite la cattura e stoccaggio del carbonio possono continuare a funzionare.

Registriamo che prima  del citato accordo, c’era stato un colpo di scena quando il presidente della COP28, Sultan Al Jaber, aprendo la sessione plenaria dei delegati, con un tono ottimistico ha annunziato che per la prima volta nei documenti approvati compare la parola “combustibili fossili” e che si è raggiunto un accordo di avviare una "transizione dai combustibili fossili" entro il 2050. Certamente è un fatto positivo che la locuzione “combustibili fossili” e la loro riduzione abbia risuonato tra i partecipanti al summit. Purtroppo, leggendo il documento finale, emerge che i dettagli effettivi sono lacunosi e foriere di scappatoie che permetteranno ai Paesi produttori di continuare a espandere ancora per qualche decennio il proprio mercato dei combustibili fossili. Basta leggere la parte del testo che permette di continuare a utilizzare i ” combustibili di transizione”, cioè il gas naturale, non si capisce bene per quanto tempo.

Proviamo, ora, a tratteggiare gli esiti degli altri tavoli negoziali. Un primo risultato è stato l’approvazione del  bilancio circa gli impegni presi dai Paesi che hanno sottoscritto l'accordo di Parigi del 2015, che comprende le azioni per ridurre le emissioni di gas serra. E’ un impegno significativo che però, secondo gli esperti, non limiterà l’aumento della temperatura media globale al di sotto della soglia limite di 1,5 gradi centigradi.

Un altro impegno concerne la triplicazione del contributo delle fonti rinnovabili e il raddoppiamento dell’efficienza energetica entro il 2030. E’ stato anche approvato un testo per integrare l’agricoltura nei piani climatici nazionali. E’ un buon risultato se si considera che un quarto delle emissioni di gas serra globali proviene proprio da essa e che attraverso un’ottimale gestione dei suoli agricoli è possibile immagazzinare sensibili quantità di anidride carbonica. Un altro accordo ha riguardato l’energia nucleare. Venti Paesi, tra cui Francia, Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud, Marocco, Polonia, Romania, Svezia, Ucraina, Emirati arabi, hanno firmato una dichiarazione con cui si chiede di triplicare la potenza installata delle centrali nucleari entro il 2050 al fine di raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette. Inoltre, un’intera giornata è stata dedicata alla salute alla salute: per la prima volta tra gli obiettivi da raggiungere ci sono la riduzione delle emissioni dell’industria sanitaria e del comparto ospedaliero. Inoltre, è stato concluso un accordo per affrontare la questione delle emissioni di metano e di altre emissioni diverse dalla CO2 entro il 2030.Si è anche parlato di produzione d’idrogeno a basse emissioni di carbonio.  Purtroppo, non c’è stato un accordo sul mercato globale dei “crediti di emissione” previsto dagli accordi di Parigi, la cui vendita avrebbe dovuto contribuire a finanziare i progetti per l’adattamento climatico nei paesi poveri, che ,secondo l’ONU avrebbero bisogno di una somma diciotto volte superiore a quella attualmente disponibile. Vorrei, infine, spendere due parole circa l’entusiasmo di fine summit così prontamente rimbalzato agli onori della cronaca. Uno stato d’animo che si basa su un singolo passaggio della dichiarazione conclusiva, approvata la mattina del 13 dicembre dopo una nottata supplementare di negoziati. Nel documento si fa appello ai partecipanti a “contribuire agli sforzi globali” per “effettuare la transizione dai combustibili fossili, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio cruciale, per raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050 in accordo con la scienza”. Un appello suggestivo che speriamo trovi un effettivo reale riscontro.

Il Galileo