Realizzato 80 anni fa in un lager nazista
è conservato nella basilica milanese di Sant’Ambrogio
Delle statuine di quel presepe mancava il bue rimasto, si disse, a
Wietzendorf a vegliare su quegli IMI che non erano tornati
Una delegazione di cittadini di Wietzendorf ha donato alla basilica
la statuina di un bue, esposta assieme al presepe.
di Giuseppe Prunai
Ottanta anni fa, il 25 dicembre 1944, nel campo di concentramento nazista di
Wietzendorf, nel nord della Germania, fu esposto un presepe, realizzato con
mezzi di fortuna dal sottotenente di artiglieria Tullio Battaglia, milanese.
Battaglia era uno dei 650mila IMI, cioè i militari italiani catturati dai
tedeschi dopo l’8 settembre 1943 e deportati in Germania. Il numero di 650mila
(molti di più secondo uno storico tedesco) è solo una stima, perché il nostro
Ministero della Difesa non ne ha mai vergognosamente censito il numero. Anzi, si
è tentato di far passare sotto silenzio il capitolo IMI in omaggio ad una
presunta amicizia con la Germania Federale, erede della barbarie nazista,
caldeggiata da molti capi di governo, da De Gasperi a Spadolini. Ai militari
italiani fu negato lo status di prigionieri di guerra così non poterono essere
assistiti dalla Croce Rossa Internazionale. Il progetto era quello di far
aderire gli IMI alla Repubblica sociale di Mussolini. Accettarono solo in poco
meno di 50mila, gli altri 600mila rifiutarono. Se avessero aderito in massa, un
esercito così numeroso avrebbe, non dico sovvertito le sorti del conflitto, ma
ne avrebbe ritardato di diversi mesi, forse anni, la conclusione.
Tullio Battaglia, insegnante di disegno al suo ritorno in patria, che i compagni
di prigionia avevano soprannominato “Mastro Wietzendorf”
per la sua straordinaria manualità,
realizzò i personaggi del presepe utilizzando pezzi di filo di ferro recuperati
nottetempo dal reticolato con grave rischio poiché le sentinelle tedesche
avevano l’ordine di sparare su chiunque di avvicinasse troppo alla recinsione. E
ne uccisero molti. Con il filo di ferro realizzò lo scheletro delle statuine,
che completò con materiali vari, soprattutto legno intagliato con un coltellino
di boy-scout, sottratto alle numerose perquisizioni, e rivestite con stracci
rimediati fra gli indumenti degli internati.
Incoraggiato dal colonnello Testa, comandante italiano del campo, Battaglia creò
questo presepe dal nulla. La nostalgia di casa spinse Battaglia ad ambientare la
scena in una tipica cascina lombarda, dove un’umile contadina si avvicina al
Bambin Gesù. Ci sono anche i Re Magi ed una tessitrice che confeziona la
“vituperata” bandiera tricolore. Non mancano gli zampognari, che un tempo, a
Natale, frequentavano le vie e i cortili di Milano, né i pastori calabresi e
sardi, in omaggio ai compagni di prigionia originari di ogni parte d’Italia. C’è
anche, chissà perché, un soldato longobardo.
A Wietzendorf, Oflager 83 erano internati circa 6.000 militari italiani. Mio
padre era uno di questi ed ecco come l’ internierte – Nummer 30067 XIII C D.
XIII descrive nel suo diario di prigionia l’ Off Lager 83, Wietzendorf Kr.
Soltau.
“ Il campo di Wietzendorf è composto di quattro settori indicati con le lettere A1, A2, B1, B2. In ciascuno di essi si trovano quattro grosse baracche, due da una parte e due dall’altra, dirimpettaie. Ogni baracca è composta da sei Stuben (camerate). Ogni camerata ha la porta e la finestra sul davanti; accanto alla porta, almeno alla nostra, vi è un vano in cui è sistemato un gabinetto notturno; sul dietro vi è un’altra finestra. Ogni baracca costituisce un blocco; il nostro è il blocco ottavo e siamo nella Stube 5°. Dentro vi sono numerosi castelli biposti e costruiti in modo che siano uniti quattro posti letto. (omissis) Il gabinetto notturno è molto rudimentale, un tinozzo di legno con sopra una specie di condotto”.
(omissis)
“Agli angoli del campo le solite torrette delle sentinelle”. (Giulio Prunai: La
sboba, diario dell’internato militare n. 30067 dall’8 settembre 1943 al 5
settembre 1945; Edizioni Polistampa.) Finalmente, nell’aprile 1945, la
liberazione da parte degli inglesi quando le SS avevano piazzato le
mitragliatrici ai bordi del campo per dar luogo alla “soluzione finale”
l’uccisione di tutti gli IMI, scomodi testimoni
della barbarie nazista.
Per disinfestare le baracche del campo, in pessime
condizioni igieniche, gli inglesi trasferirono gli IMI nel villaggio
Wietzendorf dal quale sloggiarono gli abitanti. L’episodio non è nel diario, ma
mio padre me lo raccontò a voce. Fu destinato alla casa colonica del signor Oier
che, quando lo vide ridotto pelle e ossa, gli offrì un bicchierino di rum. Nella
stalla c’era una bascula, mio padre vi salì: pesava 33 chili!
Nell’abitazione il mio “babbo” trovò una carrozzina per le bambole. Era un
giocattolo, ma era molto… tedesco, molto robusto e mio padre vi sistemò i suoi
bagli. In quella, una bambina cominciò a piangere e a strillare: “Puppenwagen
nein! Puppenwagen nein! La carrozzina delle bambole no!” Allora mio padre tolse
i suoi bagagli dalla carrozzina e la dette alla bambina con una
carezza alla quale lei rispose con un bacio su una guancia del babbo.
Mio padre era molto riservato dei propri sentimenti, ma quando raccontava
l’episodio gli brillava una lacrima in un occhio.
Il ritorno in Italia fu una vera e propria odissea perché nessuno si faceva
carico del rimpatrio degli IMI che, con mezzi di fortuna, raggiunsero il
Brennero e poi raggiunsero le località di residenza con i pochi treni e autobus
di linea funzionanti. Mio padre, arrivato a Firenze in treno con un
foglio di viaggio, per raggiungere Siena, dove abitava allora, dovette
pagare i biglietto dell’autobus della SITA con i pochissimi soldi che aveva in
tasca!
Anche Tullio Battaglia rientrò in Italia, a Milano, portandosi dietro quel
presepe che regalò alla basilica di Sant’Ambrogio che lo conserva nel proprio
museo. Quando si accinse a ricomporlo, si accorse che mancava il bue.
“E’ rimasto a Wietzendorf – disse – a vegliare sui nostri compagni che non sono
tornati”.
Ad 80 anni di distanza, il 17 dicembre scorso, una delegazione di cittadini di
Wietzendorf ha consegnato all’abate di Sant’Ambrogio una statuetta del bue per
aggiungerlo al presepe del lager, esposto, per l’occasione, sull’altare della
cappella “in cornu epistulae” dell’altar maggiore.
Oggi, la guerra è veramente, finalmente finita, ha detto qualcuno. Sì. è
veramente finita, ma resta il ricordo indelebile di tante atrocità, di tanti
patimenti da parte degli IMI e dei loro parenti rimasti in Italia, spesso senza
mezzi di sussistenza. Un ricordo di troppe cose che sarà molto difficile
perdonare!