Esposizione della popolazione mondiale
all’emergenza climatica
di Bartolomeo Buscema
Nonostante l’impegno dell’Accordo di Parigi per mantenere l’innalzamento della
temperatura sotto i 2°C e, se possibile, sotto 1,5°C rispetto ai livelli
pre-industriali, purtroppo, dobbiamo registrare che il 17 novembre 2023
l’incremento di temperatura media globale del nostro pianeta è stato pari a
2,07°C. E’ un segnale quantomeno allarmante che non lascia ben sperare. Gli
scenari futuri, elaborati con algoritmi di calcolo sempre più affidabili,
prevedono che con le insufficienti politiche attuali di contrasto climatico si
rischia un aumento di temperatura
di 2,7 °C entro la fine del secolo. Un valore che secondo molti climatologi
instaurerà un’instabilità climatica difficilmente controllabile. Secondo lo
studio “Quantifying the Human Cost of Global Warming“, pubblicato
recentemente sulla rivista Nature Sustainability,limitare il
riscaldamento a 1,5°C lascerebbe esposto
solo il 5% della popolazione mondiale alle nefaste conseguenze di un
clima globale costellato di
eventi meteorologici catastrofici. Negli scenari peggiori di un riscaldamento
globale di 3,6 °C, o addirittura di 4,4 °C per fine secolo, si passerebbe dal 5%
al 50%. Un’ecatombe. Uno scenario più realistico e quello dell'Onu che ammonisce
che a questo ritmo si va diritti verso un aumento di temperatura di 2,5-2,9
gradi centigradi entro la fine del secolo. Secondo uno studio del Global Systems
Institute dell’Università di Exeter, per ogni
decimo di grado centigrado
di aumento di temperatura media globale, rispetto al valore
attuale di 1,2 °C (novembre 2023), quasi 140 milioni di persone in più
saranno esposte a ondate di calore
,alluvioni e eventi meteorologici estremi. Tanto per fare un esempio,
ipotizzando una popolazione futura di 9,5 miliardi di persone, l’India avrebbe
la popolazione più esposta se si raggiungessero +2,7 °C, con oltre di 600
milioni di persone a rischio. Invece a +1,5 °C le persone esposte sarebbero
circa novanta milioni.
Un clima incontrollabile,oltre agli effetti negativi sopra citati,
determinerebbe una diminuzione della resa dei raccolti, un aumento dei conflitti
per accaparrarsi le riserve d’acqua, una diffusione su larga scala
di malattie infettive. Vogliamo concludere con una nota di speranza.
Recenti studi condotti dall’Istituto per la ricerca sull’impatto climatico di
Potsdam, dall’istituto internazionale per l’analisi dei sistemi applicati, ci
informano che il peggiore di questi impatti può essere evitato con una rapida
azione di riduzione delle emissioni di gas serra da attuarsi non oltre il
prossimo quinquennio. Un obiettivo che noi auspichiamo
si possa raggiungere alla
COP 28 di Dubai che ha aperto i battenti lo scorso
30 novembre. Anche se le premesse lasciano poco spazio alla speranza,sarà
un summit decisivo e impegnativo, posto che siamo lontani dagli obiettivi
dell’accordo di Parigi (2015) tra cui la riduzione del 43% delle emissioni
totali di gas serra entro il 2030. Oggi, siamo fermi a un
deludente 2%.