di Valeria Fieramonte
Partiamo da malattie comuni come il diabete, o come la necessità di rigenerare
il muscolo cardiaco in seguito a infarto. Quanto sarebbero utili le cellule
staminali pluripotenti derivate dall’embrione!
Che spreco le migliaia di embrioni che finiscono nella spazzatura per aborti
naturali o voluti, ma che non possono essere usati dalla ricerca medica per
migliorare la qualità della vita
dei malati e talora guarire del tutto.
Un perbenismo che si definisce etico le vieta, anche se etico non mi sembra
affatto , ma solo ipocrita e dannoso, mentre
si tenta di presentarlo
addirittura come una scelta morale.
Attualmente dunque nella medicina rigenerativa occorre fare un percorso
complicato: le cellule usate sono le cellule stromali mesenchimali e le cellule
staminali ematopoietiche del midollo osseo.
Queste cellule hanno però una limitata capacità proliferativa e si possono
differenziare solo nel tessuto di origine, a differenza delle cellule staminali
pluripotenti.
Queste ultime sarebbero lì bell’è pronte ricavandole da embrioni, ma si possono
anche generare in laboratorio con una procedura più complicata: ovvero a partire
da cellule somatiche adulte e non embrionali, mediante l’inserimento di
specifici fattori di trascrizione, e in questo caso vengono chiamate cellule
staminali pluripotenti indotte.(sigla:iPSC).
Il loro processo di riprogrammazione è una metodica laboriosa e costosa, ma
hanno anche un grande vantaggio: essendo generate dalle stesse cellule del
paziente, non si incorre in problemi di rigetto.
Diventa però molto difficile usarle proprio nei settori dove sono più richieste:
quello delle malattie rare. Cioè malattie che annoverano meno di una persona
malata su duemila, e tuttavia presenti, nella loro diversificazione, in ormai
grande numero, circa 8000 diverse malattie,
vuoi per cause di inquinamento ambientale che perché sono migliorati i
processi di diagnostica. Si tratta di persone che avrebbero diritto di essere
curate senza costi eccessivi, anche in considerazione che spesso i mali da cui
sono affette si sviluppano a causa
di come noi umani abbiano ridotto l’ambiente, immettendovi in continuazione
molecole non biodegradabili senza prima sincerarsi che non fossero teratogene.
Purtroppo infatti proprio nei pazienti che ne avrebbero più bisogno, ovvero
quelli affetti da una malattia genetica , che sono l’’80%, la mutazione genetica
d’origine è sempre presente anche nelle cellule iPSC.
Quindi le pluripotenti indotte, quelle volute dagli ipocriti suaccennati, non si
possono usare, perché per poterle utilizzare la mutazione deve prima essere
corretta aumentando sia i tempi che i costi del loro ottenimento.
Per fortuna c’è una scappatoia, complicata ma c’è: cercare di ottenere cellule
iPSC universali, derivate da un unico donatore, ma ingegnerizzate in modo da non
creare crisi di rigetto, ovvero farle diventare un fantasmino invisibile per il
sistema immunitario dei pazienti.
Oggi è diventato possibile modificare le iPSC , tagliando via e eliminando i
geni ‘sbagliati’, grazie alla nuova tecnica del CRISPR- Cas 9. Si chiama tecnica
di ‘editing genetico’, come se si operasse dentro una specie di ‘libreria’ dei
geni, e le ideatrici hanno preso per questo il premio Nobel.
E’ infatti un metodo di ‘taglia e cuci’, o per gli adepti del web di ‘copia
incolla’, che permette di dividere il doppio filamento del DNA e di direzionare
la ‘correzione,’ che si chiama nucleasi, nel punto preciso del genoma
interessato, tramite una guida, che è una piccola molecola di RNA, che ha una
sequenza adatta, e dunque complementare, alla regione di interesse.
Questa tecnica è molto duttile e permette di fare molte cose utili: perché può
essere usata per inserire un gene in un punto preciso del DNA, o anche per
eliminare l’espressione di un gene, dunque fare il contrario, oppure ancora
correggere il gene che si ritiene responsabile di malattie.
Una delegazione di giornalisti dell’UGIS, in visita ai laboratori dell’istituto
Mario Negri situati nel Kilometro Rosso, ingegnosa invenzione bergamasca di
eccellenza sul piano industriale, ha potuto visitare i labs di riprogrammazione
cellulare per lo studio delle malattie rare, e farsi spiegare i metodi di
lavoro, tra gli altri, dalla
dottoressa Piera Trionfini – che non è ovviamente responsabile dell’articolo in
questione.
Uno dei microscopi elettronici usati per la ricerca
Nei laboratori
si studiano malattie rare del fegato,
dei reni e del sangue ( in questo caso se la proteina manca o funziona
male fa formare dei piccoli trombi nei vasi). Le malattie renali sono, secondo i
ricercatori del Negri, in aumento esponenziale, sono sottostimate, e il cattivo
funzionamento dei reni può a sua volta innescare malattie cardiovascolari. Si è
scoperto che una classe di farmaci usato per abbassare la pressione protegge
anche il rene, riducendo la necessità della dialisi anche dell’80%. Si sa che il
trapianto di rene non è per sempre, a causa dei farmaci antirigetto la
sopravvivenza è aumentata di nove o dieci anni non di più, anche se grandi
speranze sono poste nelle cellule staminali da midollo osseo dello stesso
individuo, che dopo il trapianto sono
in grado piano piano di indurre il rene a filtrare meglio e ci sono casi
in cui a sette anni dal trapianto si sono potuti abbandonare i farmaci
antirigetto.
Si fanno anche studi sugli animali, troppo pochi secondo alcuni presenti, e il
prediletto è lo zebra fish, una larva trasparente facile da studiare perché ha
una sola unità filtrante nei reni, ovvero un nefrone unico.
Le terapie geniche sono tutte specifiche dei singoli pazienti e pertanto già
costose di per sé, tanto più
che alcuni geni sono lunghi, possono avere anche 4500 paia di basi, e studiarle
a una a una ogni volta per ogni
paziente diventa complicato, perciò si è pensato di fare una banca cellule di
controllo che vadano bene per tutti i pazienti di quella determinata malattia.
Bisogna anche capire se la
mutazione è causa diretta della malattia e quale mutazione è. Poi con le
tecniche già segnalate si può eventualmente correggere la mutazione.
Un aiuto importante viene anche dato dalle tecniche di microscopia.
Con il microscopio elettronico a scansione, per esempio, si riescono a vedere
persino i pori di filtrazione dei reni, qualcosa di cui si dubitava, fino a poco
tempo fa, persino dell’esistenza.
Fanno parte del filtro gromerulare, un gomitolo di capillari molto piccolo che
filtra il sangue. Si possono vedere eventuali alterazioni dei pori di
filtrazione alterati e i danni alla nefrina, un piccolo filamento scuro dei pori
stessi.
Il microscopio elettronico a trasmissione, del costo di più di 800mila euro, era
prima usato per il controllo di qualità delle fibre tessili, anch’esso arrivato
a livelli inimmaginabili in altri tempi.
E’ dunque di seconda mano ma funziona benissimo: certo può sembrare strano che
si trovino più soldi per una prodotto commerciale come i tessuti, piuttosto che
per la salute umana, ma così è in un mondo dominato dalle leggi del mercato….