La conferenza dei buoni propositi
Conclusa la “Bonn Climate Change Conference”
preludio alla Cop28 si terrà a Dubai
di Magali Prunai
Fra chi sostiene che la situazione sia a un punto di stallo e chi annuncia
timidi passi in avanti, lo scorso 15 giugno si è conclusa la “Bonn Climate
Change Conference”, gli incontri preparatori alla prossima conferenza delle
parti, la Cop28, che si terrà a Dubai tra il 30 novembre e il 12 dicembre 2023.
I punti essenziali sui quali discutere erano principalmente tre: il programma di
lavoro di attenuazione dei cambiamenti climatici; il fondo per il “loss and
damage”, ovvero le perdite e i danni conseguenti al riscaldamento globale di cui
sono vittime in particolar modo le nazioni più povere del mondo; il fondo
stanziato dal mondo “ricco” per aiutare quello “povero” ad adattarsi ai
cambiamenti climatici.
Un programma di lavoro ben articolato che, però, non ha avuto un esito, e uno
sviluppo, particolarmente felice.
Rimandando il grosso del lavoro alla prossima conferenza delle parti, la Cop28,
che fin da ora è accompagnata da forti critiche per il gran numero di fonti
fossili utilizzate nel paese che la ospiterà e per aver affidato il compito di
presiedere i lavori al sultano Ahmed al-Jaber, amministratore delegato di un
colosso petrolifero degli Emirati Arabi Uniti (Adnoc), il co-presidente dei
colloqui a Bonn, il pakistano Nabeel Munir, ha bacchettato i negoziatori
definendoli “una classe di scuola elementare”. Lo scorso anno proprio il
Pakistan è stato colpito da devastanti inondazioni, aggravate dai cambiamenti
climatici. Un terzo del paese si è ritrovato sott’acqua e, denuncia sempre
Munir, al suo rientro a casa sarà costretto a riferire alla sua gente che a Bonn
si è discusso solo dell’agenda e non di provvedimenti.
Critico anche il commento di Greta Thumberg, l’attivista ambientale che negli
anni ha smosso le coscienze della società civile, soprattutto della porzione più
giovane, la quale ha ricordato che eliminare in modo graduale, rapido ed equo i
combustibili fossili farà sì che l’aumento della temperatura rimanga entro e non
oltre l’1,5 gradi, in caso contrario stiamo firmando la condanna a morte di
milioni di poveri nel mondo.
La questione finanziaria è stata sicuramente una delle più spinose. I paesi in
via di sviluppo lamentano la totale assenza di una discussione sul potenziamento
di strumenti solidali di finanza climatica, discussione bloccata perché Bonn non
è stata ritenuta la sede più opportuna. Contemporaneamente Unione Europea e i
piccoli stati insulari non sono riusciti a portare avanti le loro proposte
riguardanti il “Mitigation Work Programme”, il programma di lavoro per limitare
gli effetti del riscaldamento globale, bloccata proprio dai paesi in via di
sviluppo. Stessa triste sorte è capitata alla definizione di “just transition”,
rimandata alla Cop28.
Grande delusione anche per il mancato riconoscimento nei testi finali degli
ultimi report dell’IPCC, dei documenti sicuramente più tecnici riguardanti
impatti, vulnerabilità, ricerca, raccolta dati.
Piccola vittoria, forse, è stato il “global stocktake”, un documento in cui le nazioni controlleranno l’effettiva attuazione dell’Accordo Parigi e che permetterà, a Dubai, di chiudere il primo inventario delle politiche climatiche nel mondo.
Effetti di un'inondazione
Insomma, a Bonn non si parla di soldi ma neanche veramente di clima rimandando
tutto alla Cop di Dubai e alle riunioni climatiche regionali (Africa Climate
Week; settimana del clima in Medio Oriente e Nord Africa; settimana del clima
dell’America Latina e dei Caraibi; la settimana del clima dell’Asia-Pacifico)
che precedono, come ogni anno, i negoziati veri e propri.
E, intanto, il nostro Pianeta continua a morire.