per un “green” veramente “green”?
di Pia Bassi
Ad ogni cambiamento tecnologico, l’umanità va in fibrillazione. L’evento
della digitalizzazione non è stato ancora assorbito – molti non accettano di
pagare con una carta di credito plastificata invece dei contanti che si contano
e si toccano – che si viene travolti dalla imposizione del “green”, il verde,
che deve essere a tutti gli effetti verde, tutta la filiera, e non solo il
prodotto finale.
Non si parla solo delle abitazioni, ma dell’oggetto totemico dell’umanità,
l’auto, messa sotto accusa per l’aumento dell’anidride carbonica in tutto il
pianeta, l’unica vera responsabile dello scioglimento dei ghiacciai una volta
definiti perenni. Vero o no i combustibili fossili sono messi al bando, almeno
in Occidente. Si è scatenata quindi la corsa alle terre rare, non diffuse
purtroppo in tutti i continenti, ma in zone dove imperversano le guerre,
ataviche o recentemente promosse come quella della Russia verso l’Ucraina che ha
zone ricche di Litio, fondamentale per le batterie in quanto più atte
all’accumulo di energia che non quelle attuali al piombo, metallo inquinante,
soprattutto per lo smaltimento. Si tratta quindi di avere batterie più
performanti, un affare plurimiliardario visto che sul pianeta Terra circolano
milioni di automobili. Quali materiali usare?
La conferenza tenuta il 18 aprile scorso presso FAST di Milano, in Via
del Politecnico Vecchio, dal titolo “MATERIE PRIME CRITICHE TRA OPPORTUNITA’ E
NUOVE DIPENDENZE”, è stata voluta proprio per divulgare e fare chiarezza a
ingegneri, geologi e giornalisti che si sono avvalsi anche dei crediti
professionali.
L’Europa è entrata in fibrillazione di fronte all’obbligo della
dismissione dei combustibili fossili entro il 2030, 2035 o altre date che
vengono via via emesse, vale a dire correre all’accaparramento di questi metalli
rari che, come già detto, non abbondano in Europa: Litio, Palladio, Titanio,
Stronzio, Nichel, Cobalto, Manganese, Grafite, Ferro, sono materiali essenziali
che assicurano lunga durata alle batterie. Ma ci sono anche il Cerio, Disprosio,
Samario, Lantanio, Terbio, Praseodimio, ecc.. L’ordine è: motori elettrici.
Purtroppo l’estrazione di questi materiali rari è spesso non ecologica e
lascia territori disastrati, anche perché le guerre completano l’opera di
distruzione della crosta terrestre.
L’Italia non è ultima nella estrazione mineraria, ormai di secolare
esperienza. L’Agip mineraria ha interrotto le estrazioni nel nostro paese nel
1995, ma le miniere grazie alle nuove tecnologie possono ancora fruttificare nel
rispetto dell’ambiente perché è la nostra estrazione culturale per il paesaggio
che lo impone.
Proprio grazie all’ENI abbiamo un valido Museo-Sistema del Petrolio di
Vallezza-Fornovo di Taro (PR) dove fino al 1994 c’era un campo petrolifero il
cui prodotto era di ottima qualità. A questo Museo, con le nuove introspezioni,
si potrebbero fra non molto aggiungere nuove sezioni di materiali un tempo
trascurati perché si puntava solo sul gas metano e petrolio. L’esperienza
italiana nella ricerca mineraria è enorme e non ci dovremmo preoccupare perché
le risorse e la conoscenza geologica del territorio è profonda e darà i suoi
frutti .
Non ultimo questa situazione ecologica VERDE GREEN ci ha già fatto, da
alcuni decenni, preparare al recupero dei metalli dai rifiuti: si tratta di
metalli secondi primi che sono tuttora oggetto di studio e ricerca in tante
università italiane come la Bicocca di Milano, una delle prime a fare questo
tipo di ricerca.
Che cosa si può ricavare dalle montagne di rifiuti prodotti nelle
megalopoli e nei paesini? Tonnellate di oggetti che a fine vita diventano
rifiuto che contengono metalli preziosi quali: oro, argento, rame, cobalto, ecc.
Queste montagne diventano MINIERE URBANE, da sfruttare proprio come miniere.
Prendiamo il contenuto dei cellulari di prima e seconda generazione che si
ammassano nei cassetti di casa. Il Politecnico di Milano pubblica su Google i
contenuti dei cellulari: 9 gr di rame, 11 di ferro, 250 milligrammi di argento,
24 milligrammi di oro, 9 milligrammi di palladio, 65 gr di plastica, 1 gr di
terre rare (Coltan, dal Congo dove imperversano guerre, ma anche dal Ruanda e
Uganda). Il Coltan è un insieme di minerali chiamati: columbite, tantalite,
ossidi di niobio, tantalio ed altre rarità. Sono cellulari grondanti sangue e
schiavitù, questi formano le schede stampate, proprio e vero cervello, che
smista le comunicazioni attraverso i satelliti o le antenne. E’ un sistema
intelligente al nostro. Quindi i cellulari dismessi sono una vera miniera.
Per quanto riguarda la locomozione elettrica, le cose diventano più
complesse perché il sistema lo richiede. Alla base c’è la produzione di una
massa enorme di elettricità che viene “spillata” all’occorrenza attraverso la
rete elettrica nazionale, le colonnine sempre alimentate. Si passa da una
distribuzione elettromagnetica prodotta altrove e distribuirla altrove.
Tuttavia, come ha spiegato Michele De Nigri, ingegnere elettrico Enel,
accettiamo la sfida della transizione ecologica, analizziamo tutta la filiera
che è lunghissima, a partire dai tralicci in acciaio che portano i cavi ad alta
tensione, alla fabbricazione dell’energia stessa utilizzando: Eolico,
Fotovoltaico, Solare, Acqua. Un esempio: le pale eoliche sono fatte di resine ed
i pali in legno ricoperti di plastica. L’Enel produce il 60% del prodotto dal
combustibile fossile e il 40% dal rinnovabile. Ogni passo ha una questione da
risolvere come l’accumulo dell’energia nei magneti permanenti. Per esempio il
Neodymium va sostituito con una materia critica, l’Antimonio la cui filiera è
controllata dalla Cina. Tutte le aziende come la società Erion, si impegnano
nell’economia circolare e le innovazioni tecnologiche nel settore RAEE,
apparecchiature elettriche, elettroniche, pile e accumulatori.
Il processo è lungo e insidioso, ma ce la faremo, perché fantasia e
intelligenza abbondano in Italia. Poiché la speranza è l’ultima a morire,
possiamo contare anche sugli asteroidi, che ci passano vicino, anche se il loro
sfruttamento non è a breve, come preconizzato dall’astrofisico Nanni Bignami in
uno dei suoi ultimi libri “I marziani siamo noi”.