L’inondazione in Emilia-Romagna
La solidarietà degli
angeli del fango
Centinaia di giovani volontari affiancano i soccorritori ufficiali per alleviare
le sofferenze della popolazione
L’appellativo di angeli del fango fu
coniato durante l’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966
di Giuseppe Prunai
Deja vu: è quanto esclama chi ha un bel po’ di anni di troppo ed ha visto, da
studente ginnasiale, l’alluvione del Polesine, le inondazioni nei Paesi Bassi, e
i vari allagamenti di forte intensità sparsi per il mondo ed ha subìto, in prima
persona, l’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966. Colpa dei cambiamenti
climatici, si dice ogni volta, della tropicalizzazione del clima, delle lunghe
siccità e delle conseguenti piogge torrenziali, ma anche e soprattutto di una
sciagurata gestione del suolo, del disboscamento, della cementificazione
selvaggia, come nel caso dell’Emilia-Romagna dove avevano costruito anche nella
golena dei fiumi.
Saranno le inchieste amministrative e giudiziarie a stabilire colpe e
responsabilità: non vogliamo processare nessuno, vogliamo solo evidenziare un
dato: la solidarietà. I soccorritori volontari e i numerosi giovani che si
dedicano a lavori più umili, ma estremamente necessari come trasportare i
sacchetti di sabbia per rinforzare gli argini dei corsi d’acqua, distribuire
pasti caldi, indumenti asciutti, rincuorare gli sfollati con qualche buona
parola, spalare il fango. E’ da qui che nasce il loro appellativo di “angeli
del fango”. L’espressione fu coniata a Firenze, nel 1966. Fu un ignoto
redattore del quotidiano La Nazione che la usò come soprattitolo ad una foto che
ritraeva un gruppo di giovani imbrattati di fanghiglia. Fra parentesi, La
Nazione non uscì per alcuni giorni perché la sua tipografia, al piano terra di
via Ricasoli, a due passi dal Duomo, era stata sommersa dall’acqua dell’Arno e
dalla fanghiglia, Poi cominciarono a stamparlo a Bologna presso la tipografia
del Resto del Carlino e a trasportarlo in Toscana.
Si deve a questi giovani, arrivati a Firenze da mezza Italia e da mezza Europa
(c’erano anche alcuni studenti statunitensi e canadesi), se furono recuperati
numerosi volumi della Biblioteca Nazionale Centrale, la più vasta d’Italia, e di
altre biblioteche fiorentine, i documenti dell’Archivio di Stato e le opere
d’arte non esposte, depositate negli scantinati della Galleria degli Uffizi.
Furono gli angeli del fango, insieme
con un nutrito gruppo di militari, che liberarono le strade da quella fanghiglia
scivolosa, mista alla nafta fuoriuscita dai serbatoi degli impianti di
riscaldamento. Furono gli angeli del
fango che trasportavano pasti caldi ed altre derrate alimentari, indumenti
asciutti, medicinali. Dormivano in alcune carrozze ferroviarie parcheggiate alla
stazione di Santa Maria Novella. I soliti benpensanti si scandalizzarono della
inevitabile promiscuità e del fatto che girasse qualche “canna” e non
avvertivano che qualcosa di importante stava cambiando nei costumi e nelle
abitudini e non solo dei giovani.
Nella Firenze degli insegnamenti di Giorgio La Pira si gettavano le basi di una
società moderna, circostanza quanto mai invisa ai conservatori.
Fu l’operato di questi ragazzi che fornì a Giampaolo Cresci (giornalista
fiorentino approdato alla RAI) lo spunto per una trasmissione intitolata
“Giovani” che dedicò le prime puntate agli
angeli del fango. La sigla della
trasmissione fu, il primo anno una canzone di Gianni Morandi. L’anno successivo,
la sigla fu scritta da Theodorakis. Il compositore greco era confinato in
un’isola dell’Egeo dal regime dei colonnelli e
non poteva comunicare con nessuno, a parte un gruppo di studenti di
musica. Il Cresci si travestì da musicista: vestito molto trasandato, tutto
spettinato, una custodia di violoncello a tracolla. E nella custodia c’era un
magnetofono, il famoso Nagra dei radiocronisti della RAI. Theodorakis registrò
la canzone, lo spartito fu cucito nella fodera della giacca. Così equipaggiato,
il Cresci fece ritorno a Roma con il prezioso contributo sonoro.
Anche chi scrive questa breve nota, fu – a suo modo – un angelo del fango anche
se il fango non lo ha mai toccato.
Con la propria automobile – una delle poche non alluvionate – e con un permesso
per circolare in città. trasportava materiali (soprattutto cibo e indumenti) per
conto di una Casa del Popolo del quartiere di Santa Croce. Mi sembra che la sede
fosse in Piazza de’ Ciompi: un nome che non sembrava scelto a caso. Il
segretario non era presente perché
impegnato a ripulire la propria abitazione al piano terra, devastata dall’acqua.
Chi coordinava gli interventi dei compagni era il parroco della zona.
Che sia nato lì il compromesso storico?