Immagini di guerra e guerra fredda
in mostra a Milano
Centinaia di scatti di questo maestro del fotogiornalismo esposti al Mudec –
Museo delle culture del capoluogo lombardo
di Giuseppe Prunai
Per chi, come chi scrive questa nota, ha diverse, forse troppe primavere sul
groppone, visitare la mostra delle
foto
di Robert Capa, organizzata dal Mudec-Museo delle culture di Milano, è stato
come fare un tuffo nel passato remoto di una vita segnata, in gioventù, dalla
terrificante esperienza della seconda guerra mondiale.
Scrive il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, nella presentazione del catalogo
della mostra: “Le immagini che ci ha lasciato fanno parte dell’immaginario
collettivo di generazioni di donne e uomini del mondo intero e la guerra, per
molti di noi, è quella descritta dai suoi reportage e dai suoi scatti, veri
capolavori della fotografia di ogni tempo. L’opera di Robert Capa – prosegue
- è oggi unanimemente considerata all’origine del moderno
fotogiornalismo. I suoi reportage hanno portato sotto gli occhi del pubblico,
con un’immediatezza mai vista prima, e immagini di un mondo travagliato da
tumultuose e spesso tragiche trasformazioni: dalla guerra civile spagnola, al
secondo conflitto mondiale, all’URSS, uscita prostrata dalla guerra, a Israele
negli anni della sua formazione e alla guerra in Indocina dove lo stesso Capa
perse la vita mentre era al lavoro per documentare il conflitto”. Uscito da un
sentiero per riprendere una colonna di militari in marcia, saltò su una mina
antiuomo. Era il 25 maggio 1954,
nella provincia di Thai Bin, La stessa sorte toccò, nell’Indocina divenuta
Vietnam, a molti altri fotogiornalisti.
Robert Capa, pseudonimo di
Endre Ernő Friedmann,
nacque a Budapest 110 anni fa, il
22 ottobre 1913.
Concluse la sua parabola a soli 41 anni.
Di lui rimangono delle foto indimenticabili. E’ doveroso ricordare che alcuni
esperti hanno contestato l’autenticità di alcuni
suoi scatti della guerra di Spagna. Di due in particolare. Fra cui la
famosa foto del miliziano colpito a morte, Difficile, a quasi un secolo di
distanza, stabilire se avesse ragione Capa o i cosiddetti esperti.
Fatto sta che due immagini di dubbia interpretazione non inficiano il lavoro di
una vita svolto esponendosi a grandi rischi. Fra le foto di guerra, ci sono
piaciute quelle della cosiddetta Campagna d’Italia nelle quali è impossibili non
riconoscersi. Memorabile quella che ritrae un contadino siciliano che indica la
strada ad un ufficiale americano. E poi gli scatti dello sbarco un Normandia e
la triste sorte di un numero incredibile di soldati mandati al macello per un
errore nella scelta del luogo dello sbarco, una costa ricca di falesie dall’alto
delle quali i tedeschi falciavano gli alleati con le mitragliatrici. Pochi
chilometri più a nord avrebbero trovato le spiagge ed un terreno pianeggiante
che li avrebbe portati facilmente nell’interno.
Ma il piatto forte della mostra è il vastissimo reportage di Capa nell’Unione Sovietica postbellica, nell’URSS al tempo della guerra fredda. Si tratta di centinaia di foto, cosiddette d’ambiente, che documentano la vita quotidiana dei sovietici delle città, Mosca e Stalingrado, delle cooperative e delle fattorie collettive. Sono scatti del tipo di quelli di Cartier Bresson. Foto d’ambientazione, si direbbe. Ma mentre le foto di quest’ultimo sono accurate nelle inquadrature, nella scelta dei soggetti, della luce e, probabilmente dei tempi di posa, foto che evocano una pittura, quelle di Capa sono le classiche istantanee che catturano un istante di vita.
John Ernest Steinbeck, Jr. Premio Nobel per la letteratura 1962
Al reportage fotografico, che risale al 1947, è associato una sorta di diario,
un libro intitolato, appunto, “Diario Russo. Autore Jhon Steinbeck. L’autore di
“Furore”, di “Pian della Tortilla”, di “Al Dio sconosciuto”, con il suo stile
inconfondibile, un linguaggio estremamente scorrevole da maestro del
giornalismo, accompagnò Capa nelle sue peregrinazioni per l’immenso territorio
sovietico commentando i suoi scatti e narrando le vicende di due viaggiatori
occidentali alle prese con la censura, le burocrazia e la disorganizzazione
sovietica. Dagli scritti di Steinbeck avrebbe dovuto uscirne una serie di
articoli per un quotidiano statunitense, ne scaturì un libro che oggi è un vero
e proprio documento storico sulla vita in UJRSS nel dopoguerra.