a che punto sono
gli stati generali?
di Valeria
Fieramonte
L’annuale Fiera di Rimini che a novembre ospita Ecomondo e Keyenergy era
quest’anno in ampliamento (il
traffico per la città era tale che si è deciso di dividere in due l’evento e
spostare a marzo Key energy dal prossimo anno): si può capire dato che il tempo
stringe, le attività imprenditoriali nel campo delle energie rinnovabili, difesa
dall’inquinamento, tutela e controllo del territorio ecc. sono in grande aumento
e fermento, ed è davvero un peccato che i governi e i partiti sembrino non
essersene ancora neppure accorti.
Il mercato delle energie fossili è ormai un bagno di sangue anche in senso
letterale, occorre rifornirsi da
paesi bellicosi e poco affidabili, e dovrebbe essere ormai sotto gli occhi di
tutti quanto la speculazione abbia
impazzato ben prima della guerra in Ucraina, con l’aggravante di fuoriuscite di
gas metano di devastante entità dovute a rappresaglie militari. Tutto questo si
aggiunge all’endemica corruzione prodotta dal settore fossile, che riesce a
rendere ciechi anche di fronte all’ormai evidente destabilizzazione del clima e
rallenta drammaticamente la
necessaria rivoluzione energetica: le
417 ppm di CO2 nell’aria, con relativo aumento
della temperatura del pianeta, l’aumento degli altri gas climalteranti
nell’aria dovrebbe richiedere da parte di tutti una responsabilizzazione
immediata, che in larga maggioranza non c’è.
Per questo andare ad osservare che cosa bolle in pentola nel
campo delle energie alternative
può persino sembrare un esercizio consolatorio, ma il fermento innovativo
del settore è davvero molto stimolante.
E’ impossibile essere esaurienti data la gran quantità di dibattiti e proposte,
la creatività e anche la bravura tecnica di molti degli espositori (con la
consueta presenza tuttavia anche della concorrenza fossile, al solito dotata
delle aree più ampie) e dunque cercherò di riassumere almeno quello che ho
trovato più interessante o notato nelle varie peregrinazioni tra gli espositori.
La relazione sullo stato della green economy fatta da Edo Ronchi,
presidente della fondazione per lo sviluppo sostenibile (termine ormai
quasi inutile causa usi impropri), ha rilevato che ormai quasi la metà delle
imprese italiane ha un diffuso interesse, almeno a parole, e comunque presta
attenzione, ai problemi energetici, e la grande maggioranza (86%) ha un livello
molto elevato di preoccupazione per gli alti costi dell’energia.
Tuttavia la riduzione dei consumi
derivati dall’idroelettrico, a causa dell’aumentata siccità, rivela che la quota
di rinnovabili sul consumo finale di energia è diminuita, mentre i consumi sono
in genere aumentati dopo la pandemia. La risorsa idrica potrebbe rivelarsi un
vero punto debole, dato che un terzo e passa dell’acqua potabile è dispersa da
acquedotti colabrodo che nessuno pensa mai di riparare. (Può essere anche
interessante sapere che in Francia, a causa della siccità, hanno dovuto chiudere
alcune centrali nucleari perché mancava l’acqua di raffreddamento).
Buone performance il nostro paese le offre solo in alcuni comparti del riciclo:
il tasso di riciclo è buono e supera il 67% e quello di riuso il 21%. Tuttavia,
anche a causa dell’annoso problema delle discariche (negli altri paesi
occidentali risolto coi termovalorizzatori), lo stato di conservazione degli
habitat naturali è inadeguato o cattivo.
La superficie a coltivazione biologica è aumentata del 4% rispetto al 2020, è
una buona notizia ma è ancora distante dal target europeo per il 2030, che
indica il 25%.
Siamo anche in forte ritardo nell’immatricolazione di auto elettriche, sebbene
la loro vendita sia notevolmente aumentata.
L’elevato consumo di suolo, con conseguente impermeabilizzazione e degrado dello
stesso, vede il nostro paese purtroppo ben al di sopra della media europea.
Per quanto riguarda gli eventi atmosferici estremi, sono aumentati del 500%
negli ultimi 50 anni e ormai sono una seria minaccia per i settori che hanno i
propri asset esposti.
A proposito: alle 7 del mattino
l’albergo in cui ero ha iniziato a traballare in modo davvero preoccupante e per
la prima volta ho fatto in tempo persino a spaventarmi. Per fortuna il terremoto
è durato solo alcuni secondi e per fortuna l’epicentro è stato in mezzo al mare
e non di fronte a Rimini, ma chi faceva jogging sulla spiaggia assicura di aver
visto tutti gli hotel lungo la riva traballare, anche se la notizia è rimasta
confinata ai media locali.
I terremoti ci sono sempre stati, e tuttavia il continuo svuotamento di pozzi
sotterranei a fini di sfruttamento energetico è evidente che aggrava anche
questo fenomeno: insomma, ormai non si può più andare in pace e tranquillità
neppure a un convegno in ridenti e storicamente importanti cittadine balneari!
La ragione principale per cui molte imprese non hanno ancora avviato una
transizione ecologica è dovuta alle barriere burocratiche, gli intralci dovuti
alle normative vigenti, alle complicazioni, ostacoli e lungaggini: sono
considerate a tal punto moleste che le imprese preferirebbero avere delle
semplificazioni degli iter prima e di più di un ampliamento dei finanziamenti.
In tutta Europa, ma in Italia in particolare, molte aree sono state colpite da
prolungate e gravi siccità, che hanno aumentato il rischio di incendi: l’Italia
ha il record di superficie nazionale incendiata, il valore più alto in Europa,
(160mila ettari) – seguita poi dalla Grecia (131mila ettari) e dalla Spagna
(91mila). Ha il record anche delle ondate di calore e della temperatura più alta
registrata in Europa (48 gradi a Siracusa in agosto).
A fronte di fonti rinnovabili che crescono troppo poco e troppo lentamente – e
anche in questo caso l’Italia è il fanalino di coda con una crescita media di
appena lo 0,5% ogni anno, il valore più basso tra i grandi paesi europei e anche
della media UE – come sta il nostro e altrui capitale naturale, che fornisce
spontaneamente servizi pari alla metà del PIL mondiale?
Male pure lui, nonostante una legge
presentata a giugno del 2022 dalla Commissione Europea per il ripristino degli
habitat naturali e un nuovo regolamento nel campo dei pesticidi (Pacchetto
Natura) e nonostante l’introduzione nella nostra Carta Costituzionale di
principi per la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi.
I risultati del monitoraggio voluto dalla cosiddetta ‘direttiva habitat’
mostrano una natura in cattivo stato di conservazione: l’89% degli habitat
terrestri e delle acque ‘dolci’ e oltre la metà della flora e della fauna non se
la passano bene, assieme al 22% delle specie marine.
Eppure sono state individuate alcune cose urgenti da fare: evitare la perdita
netta di spazi verdi urbani, arrestare il declino degli impollinatori, eliminare
dighe e altre opere per raggiungere il traguardo di almeno 25mila km di fiumi a
flusso libero, iniziare a stoccare il carbonio e rigenerare almeno il 20% degli
ecosistemi entro il 2020. Tutti settori dove arriveranno ingenti stanziamenti e
dove dunque sarà importante il contributo della creatività industriale, e
soprattutto, da parte dei Comuni, una minore
paura operativa.
Abbiamo visto tutti, durante il Covid,
che erano bastati due mesi perché i cieli e la natura iniziassero a
ripulirsi, non è dunque un’impresa disperata ma è piuttosto una questione di
volontà: sono ancora in troppi a non capire che i fenomeni naturali e biologici
non si possono affrontare con la logica della ’trattativa’,
perché la natura non obbedisce alle nostre logiche ma alle sue, che sono
molto più lente e si declinano nei millenni. E tentare di dilazionare in una
situazione che è già di limite non può che provocare ulteriori disastri.
Purtroppo
- è stato detto in un dibattito sugli
strumenti finanziari - per ora le
imprese sembrano a volte in arrembaggio caotico e dunque sarà necessario
accompagnarle verso percorsi più ‘ecologici’. Si è visto, per esempio, dopo il
terremoto in Emilia, che le imprese che hanno sfruttato i capannoni per fare un
‘salto energetico’ hanno ottenuto risultati imprenditoriali molto più importanti
dei ‘rimasti indietro’.
E’ fondamentale il coinvolgimento delle città: sebbene occupino il 4% della
superficie del mondo, emettono da
sole il 70% della CO2, e specie in estate sono diventate, causa il fenomeno
delle isole di calore, quasi inabitabili nei climi caldi e temperati.
Per l’Italia sono state selezionate 9 città dove iniziare una sperimentazione a
fini di risparmio e efficientamento energetico: Milano, Torino, Bergamo,
Firenze, Bologna, Parma, Prato, Padova e Roma. Dovrebbero diventare un
avamposto, non certo un alibi per le altre a non fare nulla: ma se penso a
Milano non mi pare si possa poi essere così ottimisti, mentre ci sono piccoli
Comuni, come Rozzano o Fiumicino che stanno operando bene. Anche l’area Toscana
Nord Ovest1 ha avuto una pubblica amministrazione (P.A.) particolarmente
efficiente per la ristrutturazione di 13 siti ospedalieri.
Purtroppo per la riqualificazione degli edifici pubblici ci sono continue
proroghe
Può aiutare il fatto che entro il 2027 non si potranno più vendere o affittare
edifici pubblici fuori norma. Negli ultimi 15 anni le risorse per la
manutenzione degli edifici comunali si sono assottigliate, e la priorità viene
dunque data solo a ciò che è ‘urgente’, genere cornicione che cade, per
intenderci. Il messaggio sulla pericolosità di un aumento della CO2 non arriva
neppure, a volte i sindaci non sanno cos’è il GSE, quando non si hanno soldi in
cassa, magari per cattiva amministrazione precedente, non si può comprare
neanche una biro.
La maggior parte delle risorse arrivano ai Comuni dalle Regioni, dallo Stato e
dalla UE. Sono tutti soggetti che
fanno bandi, spesso macchinosi da seguire. In ogni caso sono stati stanziati 32
milioni di euro per le 9 città selezionate: non sono spiccioli e le città
dovrebbero fare rete per aiutarsi tra di loro. Nell’edilizia pubblica ci sono le
case popolari, le scuole, le università, gli ospedali: sebbene sia in parte
vera, la scusa di perdersi nei meandri delle procedure non regge a sufficienza.
Va da sé che procedure nuove comportano anche rischi maggiori, e anche questo
crea resistenza. La speranza è che l’efficienza energetica crei l’occasione
per la nascita in contemporanea di una vera efficienza amministrativa.
La cosa più importante sarebbe anche decarbonizzare i trasporti, aiutando lo
sviluppo di mezzi elettrici. E anche su questo piano regna il caos: è ovvio che
il cittadino utente preferirebbe evitare la perdita di tempo, e avere dunque
lungo tutto il territorio poche società ma efficienti nell’erogazione. Così non
è, e la mancanza di colonnine sulle autostrade, dove sarebbero ancor più
necessarie, aumenta il disagio di una offerta per ora confusa e disfunzionale.
Roberta Frisoni, importante assessore di Rimini, ha lamentato il fatto che per
mettere le colonnine di ricarica
c’è voluto un anno e mezzo di autorizzazioni. Considerato che i trasporti sono
l’unico settore che in Italia ha aumentato del 9%, invece di ridurre, le
emissioni, gli interventi in questo campo sono particolarmente urgenti.
In Emilia Romagna c’è anche una interessante iniziativa per i condomini privati:
chi volesse saperne di più ( ne vale la pena) può andare sul sito:
www.topcondomini.eu
(info@topcondomini.eu)
Per quanto riguarda le imprese italiane e il loro impegno per la neutralità
climatica, Agostino ReRebaudengo, presidente di Elettricità futura, ha detto che
entro il 2030 l’Italia dovrebbe fare almeno10 GW all’anno di rinnovabili, mentre
ora siamo fermi a 1 GW. un gap abbastanza notevole..
Comunque, almeno, Terna e Snam hanno definito assieme che, negli 8500 Comuni
italiani più importanti, tutti i territori che non sono vincolati sono idonei
all’installo di FER. I soliti adepti del fossile non dovrebbero fingere di
allarmarsi: si tratta dopotutto dello 0,3% del territorio, circa 100mila ettari,
che si è calcolato basterebbero per tutti gli impianti.
Edoardo Garrone, presidente ERG, ha raccontato interessanti aneddoti circa il
rapporto con suo padre, che da raffinatore di raffineria diceva, in merito alle
rinnovabili eoliche: «questa non è una vera industria!» Mentre i figli sono
stati al passo con i tempi, e nel 2020 sono usciti totalmente dal petrolio,
capitalizzando 5 miliardi di euro di rinnovabili e creando valore senza
inquinare il territorio. Dopo la grande crisi economica del 2008 i margini della
raffinazione erano comunque crollati e non si sono più ripresi. «Oggi – ha
concluso Garrone - siamo produttori di energie rinnovabili al 50% in Italia e al
50% all’estero, ma solo perché qui da noi non c’erano opportunità, perchè la
maggior parte dei progetti sulle rinnovabili sono bocciati dalle
sopraintendenze. Il settore dei beni culturali è purtroppo molto scarso in
analisi ambientale. Le cose si fanno se tornano i conti: ho dei dubbi che sia
così per le trivelle in Adriatico ma è un genere di polemica che va
disinnescato.»
Chiara Montanini, Fondazione sviluppo sostenibile, ha detto che sono 80
in Italia le aziende che hanno scritto nel loro statuto la finalità della
neutralità climatica: questo permetterà all’Italia di fare un grande passo in
avanti. L’iniziativa Co2alizione Italia è stata lanciata a luglio ma hanno già
ricevuto contatti da tutto il mondo (info@co2alizione.eco)
Infine vorrei segnalare tre innovazioni industriali che mi sono parse
intelligenti e utili: la prima
riguarda un’industria farmaceutica. Maria Paola Chiesi, dell’omonima ditta, ha
detto: « Noi produciamo farmaci per l’asma e la bronchite cronica. I gas delle
bombolette hanno un effetto climalterante, ci abbiamo studiato e lavorato su per
sette anni ma ora abbiamo uno spray che riduce del 90% le emissioni.»
Alessandra Arvedi, dell’omonima acciaieria, 6000 dipendenti e un passato di
inquinamento non indifferente in quel di Cremona, ha detto che il primo forno
elettrico è stato installato nel 1992, riducendo la quantità di CO2 di 1500 kg
per tonnellata di acciaio prodotto, e che hanno studiato un processo secondo cui
le bramme vengono direttamente laminate senza riscaldarle, riducendo
ulteriormente gli inquinanti.
Ma l’innovazione a mio avviso più interessante riguarda la filiera
agroalimentare. Il gruppo Caviro ( circa 600 dipendenti) è una cooperativa
agricola vinicola che coltiva nei pressi di Faenza 35mila ettari di vite. Dice
l’agronomo Marco Braschi; «Abbiamo cercato ogni piccolo valore che c’era in ogni
singolo scarto della produzione di 660mila tonnellate di uva, e produciamo anche
alcol etilico, acido tartarico e polifenoli (dai semini dell’uva.)
Dagli scarti alimentari produciamo biometano e lo rivendiamo anche ad altri
stabilimenti. Recuperiamo la CO2 liquefacendola, e soprattutto facciamo compost
da 130mila tonnellate di scarti». Aggiunge il titolare Giovanni Ferrucci:« Nel
‘95 abbiamo realizzato un impianto di compostaggio per recuperare gli scarti
delle produzioni alimentari. Il compost è un fertilizzante naturale che riporta
sostanze organiche in terreni depauperati, e aiuta la diversificazione batterica
del terreno facendo proliferare i batteri azoto fissatori.»
Si tratta di un metodo importantissimo, che impedisce la morte dei batteri dei
suoli prodotta dai fertilizzanti chimici a base di petrolio, che strema e
insterilisce i terreni.
Nel 2011 è stata poi costituita la società Enomondo per la gestione di una
centrale termica, che distilla la vinaccia per fare alcol, carburanti,
disinfettanti e prodotti farmaceutici. (
Enomondo@enomondo.it).
Nel complesso si può dire che non mancano certo né la creatività, né la voglia
di fare, né le iniziative: per maggiori informazioni si può consultare la
‘Relazione sullo stato della green economy 2022’, con focus sulle imprese
italiane e la transizione ecologica.
l