Il destino di Aghavnì di Antonia Arslan , Edizioni Ares, Milano 2022, pp. 120,
euro 15.
Recensione di Adriana Giannini
Non pensavo di ritrovarmi a commentare una storia “natalizia” perché, nei limiti
del possibile, tendo a non lasciarmi catturare dal clima delle feste in arrivo.
Tuttavia mi è capitato tra le mani l’ultimo libro pubblicato da
Antonia
Arslan, Il destino di Aghavnì, e devo dire che mi ha molto colpito. Già
apprezzata docente di lettura italiana all’Università di Padova, traduttrice e
saggista, Antonia Arslan, padre armeno e madre italiana, a un certo punto della
sua vita ha sentito l’urgenza di non far cadere nell’oblio la tragedia del
genocidio degli Armeni compiuto dai turchi nel 1915 e mai ammesso dai vari
governi che da allora si sono succeduti. In Italia se ne sapeva poco anche se
già nel 1935 lo scrittore praghese Franz Werzel con il suo intenso romanzo I 40
giorni del Mussa Dagh aveva fatto conoscere al mondo la tragedia
del popolo armeno. In Italia il libro di Werzel era stato tradotto per la
prima volta da Mondadori nel 1955 ed io ne lessi la ristampa (in edizione
economica) nel 1963.
Della tragedia che aveva coinvolto parte della sua famiglia era stato
soprattutto il nonno, rifugiatosi tempestivamente in Italia, a parlare a una
Antonia Arslan ancora bambina, ma
fu solo nel 2004 che uscì il suo primo romanzo che trattava di questo doloroso
argomento. Si trattava di La Masseria delle allodole, un libro che ebbe subito
grandi riconoscimenti da parte della critica e del pubblico italiano e straniero
e divenne anche un film realizzato dai fratelli Taviani. A quest’opera fecero
seguito altri romanzi sullo stesso tema tra cui La strada di Smirne nel 2009, Il
libro di Mush nel 2012 e Il rumore delle perle di legno nel 2015.
Ora, quasi a voler trovare un barlume di luce nell’immensità della tragedia
armena, Antonia Arslan pubblica questo lungo racconto che è la storia
verosimile, anche se non vera di Aghavnì, una sorella di suo nonno,
misteriosamente scomparsa con il marito e due figli piccoli senza lasciare
traccia poco tempo prima che il governo turco desse il via al genocidio. Le
famiglie dei due sposi erano ricche e ben introdotte nella cittadina
dell’Anatolia in cui vivevano, ma le loro affannose ricerche non ottennero alcun
risultato. Poi toccò a loro cercare di salvarsi e il destino della famigliola
rimase avvolto nel mistero. Si sussurrò di un rapimento da parte di un potente
capo che viveva con la sua tribù sui monti e da una vecchia fotografia e da
questo indizio venuti fuori 100 anni dopo ha preso spunto Antonia Arslan per
immaginare che cosa sarebbe potuto accadere a questa sua prozia e alla sua
famiglia.
Non voglio anticipare nulla di quanto è raccontato in questo, secondo me,
prezioso libretto che si legge tutto d’un fiato. C’è tutta la forza, la fede e
l’amore per la vita e per i figli delle coraggiose donne armene così ben
rappresentate da Aghavnì. Se Natale è comprensione, perdono e speranza qui li
trovate tutti.