I ricordi di un cronista
I sud-vietnamiti di mezzo secolo fa
come gli odierni fuggiaschi dall’Africa e dalla Siria
agli attuali migranti
Il governo italiano di allora, presieduto da Giulio Andreotti, incalzato dal
presidente della repubblica Sandro Pertini, organizzò una missione di soccorso
inviando nel golfo del Siam le navi da guerra italiane
di Giuseppe Prunai
Montreal, Quebec, Canada, seconda metà anni ’80 del ‘900. Il giornale mi spedì a
seguire l’annuale conferenza IATA, l’associazione internazionale delle compagnie
aeree di bandiera. I problemi sul tappeto non erano pochi. In seguito ad una
delle tante crisi petrolifere, le compagnie aeree erano in notevole difficoltà.
Fu in quell’occasione che l’economista e filosofo Kenneth Galbraith (1908 –
2006), canadese di nascita, statunitense d’adozione, critico da sempre delle
teorie capitaliste tradizionali, lanciò un’idea che allora sembrò da
fantascienza. Disse Galbraith: bisogna sostituire l’attuale mercato con
l’organizzazione, il che voleva dire formare immense banche dati
elettroniche, possibilità di prenotazione di un certo numero di segmenti
(autobus + treno + nave + aereo + auto a noleggio + traghetto etc.) tramite i
terminali. Insomma, ottimizzare le risorse disponibili, riconvertendo
il personale di terra, gli impiegati amministrativi in esperti
informatici, per ottenere il buon funzionamento di questa rete globale
assicurando un posto di lavoro a tutti. Un progetto avveniristico, divenuto, nel
tempo, una realtà di quel villaggio globale descritto da
McLuhan (1911 – 1979).
L’organizzazione di allora, basata
sul cartaceo e su un po’ di contatti telefonici, mi assegnò una camera
all’albergo Chateau Champlain, un grattacielo di 120 piani che, mi spiegarono,
ondeggiava leggermente per effetto dei forti venti che soffiavano dalla baia del
San Lorenzo, tant’è che all’ultimo piano una scrivania si spostava di un metro
ogni anno.
Una doverosa premessa, anche se un po’ lunga, per introdurre lo strano incontro
che vi feci.
Non mi è mai piaciuto lavorare in sala stampa e dopo la seduta mattutina tornavo
in albergo per preparare i vari interventi per le varie edizioni del GR1. Mentre
scrivevo, la porta della camera si aprì ed entrò una ragazza dai tratti somatici
asiatici.
- Pardon, esclamò nello strano francese del Quebec. E poi proseguì dicendo che
aveva riportato la biancheria inviata alla lavanderia dell’albergo. Appoggiò il
pacco sul letto e dette uno sguardo al fascio dei giornali italiani che la
direzione dell’hotel mi inviava ogni giorno.
- Ma lei è italiano? Mi chiese in un italiano un po’ cantilenante.
- Sì, ma lei dove ha imparato la mia lingua?
- E’ una lunga storia, proseguì la ragazza che, a parte la pronuncia e una
cantilena di taglio veneto,
dimostrò una discreta padronanza della lingua.
- Mi chiamo Thuy-Trang, che in italiano suona
come “quella che vola
sopra”. Sono Vietnamita, anzi sud-vietnamita ed ho imparato l’italiano a bordo
di una nave italiana e a Venezia, dove sono stata in quarantena. Allora si parlò
di boat-people, di gente delle barche, di quei gusci di noce con i quali noi del
sud, che avevamo collaborato con gli americani, fuggivamo dal nostro paese.
- Il mio paese è stato martoriato dalla guerra per più di trent’anni. Prima la
guerra d’Indocina che dal 23 novembre 1946 e il 12 luglio 1954, vide opposto
l’esercito francese al movimento Viet Minh, guidato da Ho Chi Minh, che si
poneva come scopo l'indipendenza del Vietnam.
Poi, dal 1º novembre 1955 al 30 aprile 1975, il Viet Minh ebbe come
avversario l’esercito statunitense. Il conflitto si svolse prevalentemente nel
territorio del Vietnam del Sud e vide contrapposte le forze insurrezionali
filocomuniste – sorte in
opposizione al governo autoritario filostatunitense costituitosi nel Vietnam del
Sud – e le forze governative della cosiddetta Repubblica del Vietnam – creata
dopo la conferenza di Ginevra del 1954.
Al sentire evocare la guerra d’Indocina, mi tornò in mente un episodio che mi
raccontò, un tempo, un mio concittadino, un nobile decaduto, sempre a caccia di
avventure. Il Conte, come lo chiamavano tutti, uno dei primi piloti italiani di
elicottero, si unì alla legione straniera francese e partecipò alla guerra
conducendo un vecchio Bell 47. Un giorno la legione stava per assediare un
villaggio nord-vietnamita, Per difendersi, i guerriglieri filo-comunisti
incendiarono un tratto di jungla. Il vento spinse le fiamme ed il fumo verso le
truppe francesi e gli animali selvaggi, per lo più bufali, impazziti dal terrore
cominciarono a galoppare verso le linee francesi. I legionari dovettero
abbattere numerosi animali con le armi automatiche per non essere travolti. Il
risultato fu che, il giorno successivo, a causa del clima caldo umido, le
numerose carcasse di animali andarono in decomposizione diffondendo nell’aria un
odore pestilenziale. Per liberarsene e anche per scongiurare il rischio di
infezioni, i legionari dovettero ritirarsi. I Vietcong avevano vinto la
battaglia senza spargimento di sangue da entrambe le parti.
Quando i francesi abbandonarono la partita e il nord e il sud del paese
avrebbero dovuto riunirsi in un unico stato, temendo una massiccia avanzata
comunista nelle scacchiera, gli USA intervennero in armi dando vita ad una
guerra che durò venti anni. Furono i presidenti Nixon e poi Ford a decidere il
ritiro delle truppe americane dal Vietnam determinando un vuoto di potere nel
sud del paese di cui approfittarono quelli del nord per impadronirsene. Un po’
quello che, in epoca recente, è accaduto in Afghanistan.
Fu allora che i sudvietnamiti ritenuti dei collaborazionisti, anche se avevano
ottenuto dagli americani soltanto un modesto posto di lavoro, furono oggetto di
incredibili vessazioni e rappresaglie. In molti decisero di abbandonare il
paese, via mare, affidandosi ai più disparati tipi di imbarcazioni, spesso dei
veri e propri gusci di noce, tentando di raggiungere le rotte delle grandi navi
nella speranza di essere avvistati e salvati.
Fra
i paesi che più si dettero da fare per il salvataggio dei boat people,
Francia e Italia. In Francia furono Jean-Paul Sartre (foto a sinistra) e Raymond
Aron, un gauchiste e un liberale, ad intervenire sul capo dello stato, Valery
Giscard d’Estaing, perché sposasse la causa dei boat people. In Italia fu il
presidente della repubblica Sandro Pertini, (foto a sinistra) socialista e
partigiano, a gridare al capo del governo, il cattolico Giulio Andreotti (foto a
destra): “Salva quelle persone”!
E il governo Andreotti, a differenza dell’attuale comportamento del governo Meloni, raccolse l’invito di Pertini.
La missione, affidata alla Marina Militare, fu approntata a tempo di record dal
ministro della difesa, Attilio Ruffini (1924-2011), e dal deputato Giuseppe
Zamberletti (1933 – 2019) , di cui erano note le capacità organizzative. Ruffini
e Zamberletti, entrambi scomparsi qualche anno fa, spedirono nel golfo del Siam
gli incrociatori Vittorio Veneto e Andrea Doria e la nave appoggio Stromboli.
Per poter imbarcare quanti più naufraghi possibile, furono ridotti gli equipaggi
realizzando 832 posti letto. I naufraghi salvati furono in totale 907, 75 in più
del previsto, fra cui 125 bambini.
Racconta l’ammiraglio De Donno, capo della missione: “Ricordo ancora i loro
occhi: c’era il dolore per aver lasciato tutto, il senso di smarrimento, le
incognite del futuro. E la sofferenza atroce, in molte donne, nell’aver subito
violenze. Tutti ridotti allo stremo, con in braccio bambini denutriti, in
condizioni igieniche disumane”.
La missione delle navi italiane debuttò il 25 luglio1979 e si concluse il 21
agosto successivo dopo aver percorso 2.640 miglia marine e perlustrato 250mila
chilometri quadrati.
I naufraghi o profughi che dir si voglia, furono condotti a Venezia dove
stettero in quarantena. Poi si considerò il loro reinserimento nella vita
civile. In molti, come segno di riconoscenza, chiesero di arruolarsi in marina,
cosa un po’ difficile per un problema di cittadinanza. I 907 avevano contratto
le abitudini di bordo tanto che ogni sera si riunivano, indipendentemente dalla
loro religioni, per recitare tutti insieme la preghiera del marinaio.
Al termine della quarantena, inviarono un messaggio agli equipaggi delle tre
navi.
L'incrociatore Andrea Doria
L'incrociatore Duilio
La nave appoggio Stromboli
“Ammiraglio, comandante, ufficiali, sottufficiali e marinai; grazie per averci
salvati! Grazie a tutti coloro che con spirito cristiano si sono sacrificati per
noi notte e giorno. Voi italiani avete un cuore molto buono; nessuno ci ha mai
trattato così bene. Eravamo morti e per la vostra bontà siamo tornati a vivere.
Questa mattina quando dal ponte di volo guardavamo le coste italiane una dolce
brezza ci ha accarezzato il viso in segno di saluto e riempito di gioia il
nostro cuore. Siete diversi dagli altri popoli; per voi esiste un prossimo che
soffre e per questa causa vi siete sacrificati. Grazie”.
Il racconto di Thuy-Trang, “quella che vola sopra”, volgeva al termine. La
ragazza aveva gli occhi lucidi ed io stesso inghiottivo sempre più spesso.
Scrisse anni dopo il ministro Ruffini: “Ricordo i visi di quelle persone e di
quei bimbi meravigliosi e i loro sguardi di gratitudine quando sbarcarono a
Venezia. Mi dissi allora che potevo considerarmi soddisfatto della mia intera
esperienza politica per il solo fatto di aver potuto contribuire alla salvezza
di quei fratelli asiatici”.
Molti dei 907 rimasero in Italia, ottennero la cittadinanza, cercarono un
lavoro. La famiglia di Thuy-Trang aveva dei parenti negli Stati Uniti che fecero
loro ottenere il visto di ingresso. La ragazza, dopo avere studiato l’inglese,
aveva vinto una borsa di studio, si iscrisse alla Michighan University di
Detroit, studiò il francese e rispose
ad un annuncio dell’albergo del vicino Canada. Adesso era in attesa di un
nuovo posto di lavoro come impiegata, più consono alla sua figura professionale.
Molti anni dopo la mia trasferta in Canada, incontrai Zamberletti, che avevo
conosciuto come commissario straordinario per gli interventi statali dopo i
disastrosi terremoti in Friuli e in Irpinia. Gli raccontai la storia di
Thuy-Trang.
-
Sono contento di aver fatto qualcosa di buono. Spero che quello lassù ne
tenga conto al momento opportuno.
Aveva gli occhi lucidi e tossiva.