Le biblioteche:

primo mezzo di diffusione di cultura

 

di Fulvia Roveti

Quando Tiglatpileser I, re di Assiria, nel XII secolo a.C. creò una raccolta di tutte le opere del sapere nel tempio di Assur non poteva immaginare che sarebbe stato conosciuto come il creatore della prima biblioteca della storia. Anche se la prima vera grande biblioteca del passato la dobbiamo a un altro re assiro, Assurbanipal, che ne costruì una a Ninive e che conteneva 1500 opere religiose, epiche e magiche.

La parola biblioteca viene dal greco “biblío” (libro) e “théke” (contenitore) e le prime di cui abbiamo traccia furono dei veri e propri archivi statali, nei templi, cui avevano accesso solo il sovrano e il suo “entourage”. I greci sembra preferissero biblioteche di piccole dimensioni e aperte a piccole comunità di studiosi. Il primo a mettere insieme una raccolta degna di nota si narra sia stato Aristotele, cui unì anche la creazione di un liceo, una comunità di studiosi e intellettuali che si dedicava alla ricerca e all’insegnamento. Divisa per soggetti, Aristotele elaborò anche un catalogo delle opere in base al loro contenuto. Le biblioteche si tramutarono, così, da semplici archivi che conservavano il sapere umano in luoghi di informazione, studio,  riflessione ed elaborazione del sapere.

Tolomeo I, faraone d’Egitto, prese spunto dal sistema ideato da Aristotele creando al centro del suo impero una capitale culturale con lo scopo di attirare intellettuali e studiosi. I testi raccolti da Tolomeo I e, successivamente, da suo figlio Tolomeo II, venivano portati in un deposito dove erano etichettati sulla base dell’autore, della provenienza e il nome del suo ultimo proprietario. All’epoca di Tolomeo III fu necessario dividere la collezione in due edifici visti i numeri raggiunti dalla raccolta.

Nonostante esistessero e si sviluppassero sempre di più centri del sapere così delineati, a Roma la storia delle biblioteche fu molto diversa. Esistevano alcune biblioteche private e altre solo politiche. Fu Giulio Cesare il primo a progettarne una statale, ma fu ucciso prima di portare a termine il suo progetto. Dobbiamo, dunque, aspettare Augusto perché venissero costruite due biblioteche, nel tempio di Apollo sul Palatino, una dedicata agli autori latini e una agli autori greci. I romani, in realtà, erano più interessati a trasmettere il loro sistema politico e giuridico che la loro cultura, ragione per la quale un progetto culturale non ebbe né successo né seguito.

Quando le biblioteche, nel corso del medioevo, diventarono appannaggio dei monasteri si tornò a una sorta di chiusura al pubblico del sapere, rendendolo disponibile solo per quei pochi studiosi che erano ritenuti degni di accedervi.

Nei monasteri, in realtà, non si faceva cultura ma si copiavano le opere arricchendole di disegni e ornamenti vari. Se, comunque, l’utilizzo della pergamena in campo culturale fu una grossa rivoluzione, permettendo una diffusione maggiore del sapere, quando nel 1455 Johann Gutenberg pubblicò la prima Bibbia attraverso la stampa a caratteri mobili si entrò letteralmente in un sistema moderno. E con la modernità, intesa secondo i criteri dell’epoca, il sapere si diffonde e diventa fruibile a un pubblico sempre più vasto.

Ed è così che arriviamo al Rinascimento e alle prime biblioteche pubbliche, più simili a quelle moderne. Complice, anche, una alfabetizzazione più diffusa e nuove esigenze culturali, supportate dalla stampa, iniziarono a circolare molto più facilmente e in modo più accessibile numerosi titoli. Si perfezionarono le tecniche di catalogazione e le biblioteche non erano più di esclusivo appannaggio di quella piccola “élite” di intellettuali, ma aperte a chiunque.

La rivoluzione, come è facile immaginare, la fece l’illuminismo. Il libro diventa parte della quotidianità e le biblioteche diventano dei luoghi di espressione del pensiero, libero e critico. Cambia anche l’aspetto delle biblioteche, dove i libri si trasformano da reperti da custodire incatenati alle scrivanie a testi di facile consultazione, maneggevoli da spostare.

Dobbiamo, comunque, aspettare il 1931 e un bibliotecario indiano, Shiyali Ramamrita Ranganathan, perché venissero fissati cinque punti fondamentali, base di partenza di una qualsiasi biblioteca. I libri esistono per essere utilizzati (“books are for use”); il lettore deve poter trovare facilmente il libro oggetto del suo interesse (“every reader his book”): il libro deve poter essere individuato facilmente per le sue caratteristiche (“every book its reader); il lettore non deve perdere tempo nella sua ricerca e, ovviamente, il personale non deve perdere tempo nel fare una ricerca (“save the time of the reader” – “save the time of the staff”); la biblioteca è in continua evoluzione (“the library is a growing organism”).

Quando cerchiamo un libro, per studio o per svago, non pensiamo a quanti secoli di storia siano dietro a quel computer e quel bibliotecario che facilmente, in poche e semplici mosse, trova tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Sistemi di catalogazione e di ricerca che a noi sembrano ovvi e scontati ma che in realtà sono il frutto del ragionamento di uomini di un tempo che avevano come unico scopo quello di rendere accessibile a tutti il sapere e di tramandare, attraverso la lettura e lo studio, l’amore per la conoscenza.

Il Galileo