L'ingresso di un rifugio antiaereo
di Giuseppe Prunai
Per me, il giorno della memoria comincia un po’ prima del 27 gennaio,
esattamente il 18, giorno del compleanno
di mio padre. Catturato dai tedeschi l’8 settembre del ’43 rimase in un lager
fino al 5 settembre del ’45 dopo essersi rifiutato di aderire alla repubblica
sociale e alle SS. Quando fu liberato da truppe inglesi pesava poco più di 30
chili. A 79 anni di distanza, quando ripenso a quei giorni mi prende ancora
l’angoscia e mi riprende la paura, che mai confessai a nessuno, nemmeno a mia
madre, di non rivederlo più.
Al 27, ci arrivo passando per il 21 gennaio, ricorrenza di Sant’Agnese. Agnese
era il nome della mia maestra di
prima, seconda e terza elementare, della scuola “Giovanni Pascoli” di Siena. Una
signorina attempatotta con un gran
naso. Ogni anno, noi scolari le portavamo un mazzolino delle prime violette. La
maestra abitava vicino a casa nostra, la incontravo spesso e lei si informava
dei miei studi. Così ho continuato a portarle le prime violette anche quando
frequentavo il liceo. Un giorno ho suonato invano alla sua porta, nessuno ha
aperto e un vicino di casa mi ha informato che la signorina Agnese era passata a
miglior vita.
Ricordo questa maestra perché nel periodo più nero della guerra ha continuato
imperterrita a farci lezione. Con le scuole requisite per alloggiare le truppe
repubblichine, scovava le sedi più impensate per farci lezione. Siamo stati
alcune settimane al dopolavoro dei post-telegrafonici dove, al mattino, non
c’era nessuno. Io tenevo libri e quaderni sul tavolo da biliardo, i miei
compagni sui tavoli da gioco. Poi, anche questi locali furono requisiti e noi
traslocammo in una scuola di musica, non attiva in quel periodo. Ma dopo poco
tempo anche quella diventò un comando tedesco e dovemmo sloggiare nella grande
sagrestia di una parrocchia. Eravamo seduti sulle sedie di chiesa con libri e
quaderni sulle ginocchia.
La faccio semplice, ma non lo era. Quasi ogni giorno, le sirene dell’allarme
aereo laceravano il silenzio e noi si scappava nel ricovero antiaereo dove la
signorina Agnese continuava a farci lezione.
Se in quel periodo non ho perduto un anno, come molti miei coetanei, lo devo
soprattutto a lei.
Nel ricovero, giungevano attutiti gli scoppi delle bombe ma quando si usciva si
percepiva subito che qualcosa di tragico era accaduto. La polvere in sospensione
nell’aria, l’acro odore degli esplosivi, le macerie in periferia. E poi una
tragica scoperta, una persona stesa in mezzo alla strada.
-Perché dorme per terra quel tizio?
-Tesoro, non dorme, E’ morto! Non
lo vedi il sangue?
Forse era troppo per un bambino di 7 anni, ma gli avvenimenti di quei giorni ci
avevano indurito, ci avevano mitridatizzato. Non ci spaventammo. Forse,
qualcuno, cinicamente pensò; meglio lui che io.
Finalmente la liberazione di Siena, il 3 luglio 1944, ad opera delle truppe del
maresciallo Juin.
La nostra scuola, che fino allora aveva ospitato truppe tedesche e
repubblichine, fu utilizzata per alloggiare i militari alleati e
la signorina Agnese dovette nuovamente arrangiarsi per trovare un’aula.
Fu, allora, la volta della palestra di un circolo giovanile. Ci stemmo un anno
intero. Unico guaio, non era riscaldata e in inverno dovevamo sederci sui banchi
con cappotto e cappello.
Un ultimo ricordo di quel periodo. Dal Provveditorato agli studi arrivò una
circolare nella quale si ricordava di far cantare gli alunni. Pensate un po’:
in mezzo a quel casino c’era chi si ricordava del canto corale. Il
problema era che la maggior parte degli inni patriottici erano sputtanati con il
fascismo. La maestra, però, ne scovò due che, chissà perché, a Mussolini
non piacevano: Il canto degli italiani, più noto come Fratelli d’Italia e la
Leggenda del Piave. Quando ne sento echeggiare le note non riesco a sottrarmi
alla commozione e al ricordo.
Finalmente, ci riappropriammo della nostra scuola nella Fortezza Medicea di
Siena. La maestra ci aveva salutato ed era venuto il maestro, un signore che si
chiamava Agilulfo.
Dopo neanche una settimana di scuola, il direttore della scuola accompagnò in
classe cinque ragazzi che non avevamo mai visto.
In quel periodo c’era un discreto movimento, da una sede all’altra, di
funzionari della pubblica amministrazione e ci eravamo abituati ad avere
compagni di scuola napoletani, genovesi, fiumani etc. Ma quando chiedemmo a
questi ragazzi la loro provenienza, ci risposero con semplicità: “Noi siamo
ebrei”.
E allora?
Allora il maestro Agilulfo ci spiegò delle leggi razziali, di tanti ebrei uccisi
nei campi di sterminio tedeschi, di tante persone nascoste, a Siena, nei
sotterranei dell’ospedale di Santa Maria della Scala, divenuto oggi un grande ed
importante complesso museale.
Rifugio antiaereo conico, sito a Milano nel quartiere ex-Marelli (lato destro di Viale Monza)
Ai ragazzi ebrei era vietata la scuola e, nei sotterranei dell’ospedale, dove
vivevano nascosti con le famiglie, era stata per loro organizzata una scuola
dove insegnavano, oltre ad alcuni genitori dei ragazzi, anche alcuni maestri e
maestre elementari che vi si recavano ogni giorno, a rischio della vita. Nessuno
parlò, ci non ci furono delazioni e così un gruppo di ebrei di Siena
sopravvisse.
Eravamo ancora scioccati dalla guerra, dai bombardamenti, dai morti e dai
feriti, ma questa storia ci indignò e, per la prima volta, in vita mia mi sono
vergognato di essere uscito da questa storia con qualche ammaccatura soltanto.