La scomparsa dell’attore Sidney
Poitier ha riproposto una recente pagina di storia americana (e non solo
americana) quella della lotta per i diritti civili
di Magali Prunai
Era il 4 aprile 1968, Martin Luther King, attivista per i diritti civili degli
afroamericani, venne brutalmente assassinato. La sua morte arriva in un periodo
di forti conflitti e tensioni sociali che scombussolavano non poco l’intero
paese.
In questi giorni è venuto a mancare, per vecchiaia, un altro simbolo della lotta
per i diritti civili: l’attore Sidney Poitier (Miami, 20 febbraio 1927 – Los
Angeles 6 gennaio 2022).
Mantra di quegli anni era lottare pacificamente, non rispondere alla violenza
con altra violenza. Parlare e ragionare, come dovrebbe essere sempre, erano le
sole armi da utilizzare. E in questo scenario di lotta non armata si inserì
anche Hollywood con un film, in apparenza una semplice commedia, che in realtà
lanciava dei macigni sugli spettatori. La tematica, affrontata nel capolavoro
“Indovina chi viene a cena?”, è tanto banale e delicata oggi come allora: i
matrimoni misti, in questo caso fra bianchi e neri ma oggi potremmo ampliare la
chiave di lettura non solo a una questione di colore della pelle ma anche ai
matrimoni interreligiosi. Il film, uscito sul grande schermo nel 1967, fa
presente come in ben 17 Stati U.S.A. questo tipo di unioni fosse considerato
reato. Una discriminazione, certamente, ma soprattutto una preoccupazione anche
per un padre dalla mentalità aperta, come il giornalista Matt Drayton,
interpretato da un superbo Spencer Tracy, in prima linea nella lotta per
l’uguaglianza finché la sua unica figlia non raccoglie quanto da lui insegnato e
si presenta a casa con un fidanzato nero.
Ed ecco che si scoprono i cosiddetti altarini. I genitori di lei, in coppia con
Spencer Tracy troviamo la magnifica Katharine Hepburn, progressisti finché il
“progresso” non tocca casa loro; i genitori di lui, di origini più umili, che
hanno penato lacrime e sangue per far studiare il figlio fino a farlo diventare
medico e che non accettano l’idea che voglia sposarsi con una donna bianca; la
domestica di casa Drayton, una donna di colore più razzista del ku klux klan,
che pensa siano tutti impazziti a dare il consenso a questo matrimonio. E poi ci
sono loro, Sidney Poitier e Katharine Houghton, i due giovani innamorati, il
futuro che non è interessato alle differenze sociali, economiche o di quanta
melanina contiene la loro pelle. Per loro ciò che importa è solo che si amano e
che vogliono passare il resto della vita insieme.
In questa giornata strana per le due famiglie, entrambe sconvolte e contrarie a
quest’unione, in tanti prenderanno la parola per dissuadere i genitori dal dare
il loro consenso a quella che viene vista più come una stravaganza di una
ragazza forse lasciata un po’ troppo libera che per quello che veramente è:
l’amore fra due persone. Ma alla fine tutto si risolve per il meglio, con un bel
discorso di circostanza di Matt Drayton sull’ammirazione, la forza e il coraggio
di questi due giovani e sulla necessità che il mondo cambi.
Il mondo è cambiato, questo è vero, ma non sempre si cambia in meglio. E se le
“minoranze” sono ormai tutelate da leggi e cultura, ancora oggi le unioni miste,
e non necessariamente solo quelle fra bianchi e neri, sono viste come fumo negli
occhi.
Che sia necessario un seguito di “Indovina chi viene a cena?” per un nuovo
discorso sulla tolleranza? In realtà in Francia ci sono andati molto vicini con
due commedie buffe, una il seguito dell’altra, che, per lo meno il primo film,
cercano di far riflettere lo spettatore sull’importanza non solo
dell’integrazione, ma anche sul fatto che davanti a noi abbiamo semplicemente
esseri umani che non devono essere identificati col colore della pelle, la
religione o il paese di origine. Sono le loro azioni, i loro comportamenti, il
loro essere a dire chi sono. E in questi film lo dimostrano quando i tre ragazzi
“stranieri” cantano, commossi, la Marsigliese: non un semplice inno, ma il
simbolo della rivolta degli oppressi contro gli oppressori.