Una bandiera che viene da lontano

Il Tricolore italiano

 

dal Paradiso di

 

Dante

alla stazione spaziale internazionale

Il presidente Mattarella ha consegnato la nostra bandiera a

Samantha Cristoforetti in partenza per  lo spazio

 

Presidente Sergio Mattarella consegna il Tricolore a Samantha Cristoforetti, in partenza per la Stazione Spaziale Internazionale

 

di Magali Prunai

“Sovra candido vel cinta d’uliva (…) sotto verde manto vestita di color fiamma viva”: siamo nel Paradiso Terrestre, XXX Canto del Purgatorio, e Dante (immagine a sinistra)  descrive così una figura femminile che gli appare avvolta in una nuvola di fiori. Altri non è che l’amata Beatrice, che lo prende in carico da Virgilio per condurlo verso l’ultima parte del suo viaggio e che per l’occasione è vestita di fede, il velo bianco; di speranza, il manto verde; e di carità, la veste rossa.

Vestita, così, dalle tre virtù teologali, ovvero quei tre comportamenti (credere in Dio, avere fiducia in Lui, amarLo e amare gli altri) che secondo il cristianesimo fanno si che l’uomo agisca secondo morale, entrando in sintonia con la Trinità, Beatrice perde la sua connotazione umana per diventare qualcosa di più “divino”, angelica come era angelicata la donna stilnovista, portatrice di beatitudine e di virtù.

Ma, secondo la critica, dietro all’abbigliamento di Beatrice c’è qualcosa di più, un messaggio politico inviato dal poeta tanto ai suoi contemporanei che ai posteri.

E questo messaggio fu colto parecchi secoli dopo, forse infarcendolo di una buona dose di retorica, dal Carducci quando, in occasione della cerimonia ufficiale per i cento anni della nascita della bandiera nazionale, proclamò “il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l’anima nella costanza dei savi; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene nella gioventù de’ poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi”.

Henry Holiday, l'incontro immaginario fra Dante e Beatrice (con il vestito bianco) accompagnata dall'amica Vanna (con il vestito rosso), sul Ponte Santa Trinita in Firenze (1883)

Era il 7 gennaio 1897 e davanti al re Umberto I, a Reggio nell’Emilia, si dava una spiegazione alla scelta di quei colori, decisi cento anni prima in quella stessa città e adottati per la prima volta come bandiera di uno Stato sovrano[1]. Colori che evidentemente “giravano nell’aria” nei giorni successivi alla rivoluzione francese, dato che già qualche studente, ispirandosi proprio al tricolore francese, sia a Milano che a Genova, aveva iniziato a indossare delle coccarde bianche, rosse e verdi[2].

Sempre a fine ‘800, nel 1883, il pittore inglese, considerato l’ultimo dei preraffaelliti, Henry Holiday, dipinse un ipotetico incontro fra Dante e Beatrice sul Ponte Santa Trinità a Firenze. La donna è vestita di bianco, accompagnata dall’amica Vanna, vestita di rosso e seguita da una domestica, in abito blu. Dante, invece, ha un manto verde. Il pittore vuole chiaramente rendere omaggio al neonato Regno d’Italia, aggiunge del blu per indicare l’unione fra le culture inglesi e italiane, rappresentando allo stesso tempo tanto il vessillo italiano che quello britannico. E per rendere ancora più efficace il suo omaggio all’Italia infarcisce la sua opera di significati retorici, aggiungendo un richiamo alle già citate virtù teologali anche attraverso il luogo dell’incontro: non un ponte qualsiasi, ma quello dedicato alla Trinità.

Ed ecco che Carducci, ispirato, forse, da quest’opera, sicuramente da Dante, attribuisce un senso religiose all’unità italiana e al Risorgimento.

Dobbiamo, comunque, aspettare il 1912 perché lo storico Enrico Ghisi nella sua opera “Il Tricolore italiano (1796-1870)” evidenzi il collegamento dantesco fra le virtù teologali e il tricolore italiano. Il Ghisi, infatti, nel XXIX Canto del Paradiso, quello in cui vengono condannati i vani predicatori, trova la descrizione di tre donne bianche, rosse e verdi.

In epoca più recente, nel gennaio 1997, lo storico Franco Cardini (Firenze, 5 agosto 1940)  pubblicò un articolo in cui rinfrescava e riportava in auge il collegamento fra il Tricolore, Dante e le virtù teologali.

La data di questo articolo non è del tutto casuale, visto che negli ultimi giorni del 1996, in occasione dei 200 anni dalla nascita della bandiera italiana, si proclamava il 7 gennaio come festa del Tricolore. Festa che, puntualmente, nei giorni scorsi il nostro Presidente Sergio Mattarella ha festeggiato regalando una bandiera all’astronauta Samantha Cristoforetti, eccellenza italiana nel mondo (e nello spazio).

Una bandiera che rispecchia perfettamente la descrizione che ne fa l’articolo 12 della nostra Costituzione, “la bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”. Una descrizione molto dibattuta in fase di redazione dell’articolo stesso, per il quale, alla fine, si scelse una formula più simile alle tradizioni costituzionali europee, decidendo, fra l’altro, di inserirlo nella prima parte della Costituzione, quella dedicata ai principi fondamentali, un capitolo non soggetto a revisione costituzionale per preservarlo da eventuali attacchi antidemocratici.

E chissà se dopo aver raggiunto un accordo sull’articolo 12 i padri costituenti hanno intonato un canto, quel canto del 1848 che fu molto caro al regista Luigi Magni da sceglierlo come colonna sonora per uno dei suoi capolavori dedicati al Risorgimento italiano, un canto che tutti dovremmo conoscere e che andrebbe insegnato nelle scuole.

“E la bandiera dei tre colori, sempre è stata la più bella, noi vogliamo sempre quella, noi vogliamo la libertà (…). Tutti uniti in un sol fato, stretti intorno alla bandiera, griderem mattina e sera, viva viva il tricolor”.

 

 



[1] In occasione dei moti del 1821 il patriota piemontese Santorre di Santarosa (1783-1825) (foto a destra) sventolò il Tricolore come simbolo della rivolta con la quale il popolo chiedeva al re lo statuto. Il patriota morirà poco dopo combattendo per l’indipendenza della Grecia. E’ sepolto nell’isola di Sfacteria, oggi conosciuta come Navarino Sfagia. Di lui scrisse anche il Carducci nell’ode al Piemonte: “innanzi a tutti, o nobile Piemonte, quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria diè  a l’aure il primo Tricolore, Santorre di Santarosa”.

[2]Coccarda che rimase in uso proprio fra gli studenti anche successivamente. Tanto che i componenti del battaglione universitario toscano che parteciparono, nel 1848, a fianco delle truppe piemontesi, alla prima guerra d’indipendenza e si immolarono, il 29 maggio, nella tragica battaglia di Curtatone e Montanara, indossavano una coccarda tricolore che, scherzosamente, chiamavano il “brigidino”. Il brigidino è un dolcetto, abbastanza diffuso in Toscana, che ha, appunto, la forma di una coccarda.

Il brigidino-coccarda è celebrato in una poesia patriottica di Franccesco dall’Ongaro (1808 – 1873), che trascriviamo:

E lo mio damo se n'è ito a Siena
e m'ha porto il brigidin da' due colori
Il bianco gli è la fe' che c'incatena
il rosso l'allegria dei nostri cori
ci mettero' una foglia di verbena
ch'io stessa alimentai di freschi umori

E gli dirò che il rosso il verde il bianco
gli stanno bene, con la spada al fianco
E gli dirò che il bianco il verde il rosso
vuol dir che Italia il giogo suo l'ha scosso
E gli dirò che il bianco il rosso il verde
è un terno che si gioca e non si perde

 

Il Galileo