Economia circolare per smaltire
correttamente cellulari e
pannelli fotovoltaici
di Bartolomeo Buscema
Come già succede con i cellulari, in un futuro non molto lontano avremo il
problema mondiale dello smaltimento
di miliardi di pannelli solari fotovoltaici. Chiunque abbia provato a far
riparare uno smartphone, sa che il costo di riparazione è tale da far preferire
l’acquisto di un nuovo apparecchio ed evidentemente ciò non fa che aumentare la
massa di rifiuti elettronici dei quali solo una parte, circa il 20%, subisce un
processo di riciclaggio. Ciò significa che buona parte
finisce nelle discariche a cielo aperto dell'Africa o dell'Asia, dove gli
abitanti si intossicano bruciando e sciogliendo nell'acido i circuiti dei nostri
vecchi smartphone insieme a pc
e tablet, per estrarne metalli preziosi tra cui oro, argento, palladio e
rame. Ad esempio, una tonnellata di
schede elettroniche contenute nei telefonini, a fine vita, contiene in media 276
g di oro, 345 g di argento, 132 kg di rame. Se poi si considerano altri
componenti, come magneti e antenne integrate, l’elenco si allunga con le terre
rare (neodimio, praseodimio e disprosio) che possono raggiungere 2,7 kg per
tonnellata di smartphone che vanno in discarica. Il riciclo dei cellulari e in
generale dei rifiuti elettronici, come accennato, ha anche un aspetto etico
oltre che tecnologico.
Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, circa 18 milioni di minori
lavorano in discariche irregolari per estrarre materiali preziosi da vecchi
telefonini e computer, venendo così a contatto con sostanze tossiche e mettendo
in pericolo la loro salute e la loro vita. Purtroppo le discariche sono
collocate nelle nazioni più povere del pianeta e non è raro vedere bambini,
preziosi in questo settore per le loro mani piccole e agili, sfruttati anche
dodici ore al giorno per qualche dollaro. Quanto sopra per far emergere
l’importanza di un corretto riciclo anche dei pannelli fotovoltaici la cui
produzione è in rapida crescita. Purtroppo, i pannelli fotovoltaici installati,
indispensabili per una transizione ecologica, non sono stati costruititi per il
corretto recupero delle preziose materie prime che si trovano al loro interno.
Quello che oggi succede è che a fine vita vengono “triturati” negli impianti di
riciclaggio rendendo difficile un recupero selettivo dei vari componenti.
Tale processo di sminuzzazione, dovuto al fatto che i componenti sono incollati,
è il meno remunerativo e,
purtroppo, adottato da molti impianti di riciclaggio italiani che lasciano agli
operatori esteri il vantaggio di recuperare irregolarmente la parte nobile del
rifiuto. Un tipico impianto fotovoltaico da 1 MWp, composto da 4.273 moduli,
permetterebbe, a fine vita, di recuperare 7,3 t di alluminio, 60 t di vetro, 3,2
t di Tedlar e 3,5 t di silicio. Considerando la potenza installata nel mondo, si
stima che con specifiche tecnologie costruttive si potrebbero correttamente e
integralmente recuperare i componenti principali dei pannelli solari
fotovoltaici per produrre due miliardi di nuovi pannelli con vantaggio sia
economico sia ambientale. Quest’ultimo è legato alla sensibile quota di
emissioni di gas serra durante l’estrazione delle materie prime
che, purtroppo, cominciano a scarseggiare. Si calcola che nel 2020 siano
state prelevate cento miliardi di tonnellate di materie prime, e solo l’8,6 per
cento sia stato rimesso in circolazione. Se non aumentiamo la quota recuperata
cambiando il nostro approccio allo sfruttamento delle materie prime, rischiamo
non solo nel breve termine una penuria planetaria, ma anche di rallentare la
diffusione delle energie rinnovabili indispensabili per contrastare l’emergenza
climatica che già oggi produce effetti nefasti specialmente nei paesi poveri
della Terra. Cominciamo, dunque, a pensare ai rifiuti come risorsa, come una
sorta di miniera urbana, per avere benefici futuri non solo ambientali ma anche
occupazionali, posto che l’industria del riciclaggio creerebbe più posti di
lavoro rispetto a quella estrattiva.