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Bartolomeo Buscema; “Il clima sta cambiando? Dialogo con un adolescente sull’emergenza climatica” Illustrazioni di Gianluca Distefano”

Recensione di Francesco Coniglione, Professore emerito  Università di Catania,Già presidente della Società Filosofica Italiana

 

Chi scriva di scienza e abbia l’intenzione di farsi capire da un pubblico non specialistico ha spesso la tentazione, allo scopo di rendersi intellegibile, di eccessivamente semplificare e banalizzare i contenuti sovente complessi di cui tratta; se poi vuole anche suscitare l’interesse e tenere desta l’attenzione su tematiche che non posseggono l’attrattività del gossip giornalistico-politico, corre anche il rischio di partire per l’iperbole, facendo diventare l’ipotesi certezza, il rischio, catastrofe sicura, la necessità di prendere al più presto una decisione, per l’ultima spiaggia sulla quale si decide in modo ultimativo il destino dell’umanità. Ciò è tanto più facile che accada quando le questioni in ballo non riguardano algidi movimenti in lontani spazi siderali, o eventi causali nel micro mondo delle particelle elementari, ma coinvolgono la vita degli uomini, il loro benessere, il futuro delle prossime generazioni e – ancora più importante – incidono su interessi economici-finanziari colossali, capaci a mobilitare risorse impensate affinché anche la scienza risulti “ubbidiente” alle loro esigenze.

È quest’ultimo proprio il caso dell’oggetto di cui si occupa l’Autore di questo saggio: i cambiamenti climatici generati dall’attività antropico-economica nell’ecosistema terrestre. Ed è un merito di Bartolomeo Buscema essere riuscito, con pacatezza ed equilibrio e col tono apparentemente dimesso di un dialogo con un giovane, a districare e rendere intellegibile la complessità di una questione troppo spesso affrontata o con toni catastrofisti o con intollerabile ed irresponsabile superficialità.

Vi sono due punti che mi sembrano siano degni di nota in quanto l’autore scrive. Innanzi tutto v’è la consapevolezza della necessaria approssimazione e provvisorietà non solo dei modelli di previsione climatica che sottendono ogni discussione sulla evoluzione futura del sistema eco terrestre, ma di ogni teorizzazione scientifica. I modelli matematici utilizzati nelle previsioni metereologiche, ad esempio, devono tener conto di una quantità enorme di fattori ed hanno necessariamente carattere non-lineare: ogni variazione, per quanto piccola, può incidere nel tempo con un effetto valanga, sì da provocare eventi catastrofici anche a distanza di una settimana e in luoghi molto lontani tra loro. Da ciò deriva il loro carattere inevitabilmente modellistico, proprio di ogni scienza matura. Ci ricorda l’autore che «la mappa non è il territorio», ovvero che il modello teorico utilizzato non coincide mai perfettamente con l’andamento reale dei fenomeni che esso descrive e che pertanto sarebbe un errore esiziale pretendere che esso possa fornire ciò che non è assolutamente in grado di dare: la certezza predittiva. Questa esiste, al più, in sistemi deterministici in cui intervengono pochi parametri, ben circoscritti e calcolabili, la cui azione può essere facilmente prevista. Ma anche in questi casi abbiamo a che fare con sistemi idealizzati in cui vengono omessi attriti, masse, dimensioni o quant’altro, a seconda del campo disciplinare considerato. Tenere sempre presente questo carattere peculiare della teorizzazione scientifica può evitare aspettative irragionevoli, con conseguenti disillusioni antiscientifiche. Come afferma l’autore, «nel processo della conoscenza scientifica niente è definitivo. Anzi proprio la scienza rivendica come suo il terreno del dubbio fecondo».

Il secondo aspetto che vorrei menzionare tocca il rapporto molto delicato che intreccia tra loro dimensione scientifica e necessità di assumere responsabilmente delle decisioni politiche. È infatti avvenuto di recente che gli inevitabili limiti di attendibilità dei modelli predittivi in campo climatico abbiano favorito la decisione di nulla fare, in attesa che la comunità degli scienziati raggiungesse un consenso unanime. Ebbene, non esito a dire che questo è un comportamento irrealistico ed irresponsabile; irrealistico perché prescinde da quella inevitabile approssimazione di ogni teoria scientifica, cui abbiamo prima accennato, per andare in cerca di una unanimità che nella scienza è più un mito di chi non la conosce veramente che qualcosa di attingibile in modo definitivo; irresponsabile, perché i tempi della politica non possono aspettare i tempi della formazione del consenso universale tra gli scienziati, ammesso che questo sia possibile da conseguire: bisogna decidere ora e subito ciò che bisogna fare, sulla base della conoscenza disponibile e delle più accreditate ipotesi predittive che organismi internazionali e super partes sono in grado di produrre. Il politico non può nascondere le proprie paure o i propri interessi dietro l’esigenza di una mitica sound science priva di incertezze, come si è fatto nel recente passato negli USA, sulla spinta di corporations che, pur di evitare regolamentazioni restrittive, non hanno esitato di dar credito ad esperti e scienziati il cui principale titolo scientifico consisteva nel produrre previsioni loro gradite. In questa science war – come è stata recentemente definita – non corre il rischio di rimetterci il futuro dei nostri figli, ma ne è vittima anche la scienza e la stessa ragione.

Sono questi i motivi che mi fanno essere in sintonia con l’atteggiamento dell’«ottimista seriamente preoccupato», che è la posizione dell’autore: mi sento ancora ottimista perché non ritengo che già sia stato raggiunto il punto di non ritorno, come pensano i catastrofisti, e perché penso che vi siano margini di intervento per raddrizzare il cammino dell’umanità verso un comportamento più responsabile verso l’ambiente; ma sono «seriamente preoccupato», oltre che per quanto argomenta con efficacia l’autore, anche e soprattutto perché pessimista circa la possibilità di coniugare consenso democratico e scelte economiche impopolari: la ricerca populistica del consenso (meno tasse e più beni di consumo per tutti!) è difficilmente conciliabile con decisioni che incidono sugli status symbol dell’odierna società opulenta occidentale. Sembra che l’umanità riesca ad imboccare certe strade sgradite solo quando è con l’acqua alla gola; e non sempre ciò avviene, visto che vi sono state società che han preferito annientarsi pur di non rinunziare a certi modi di vita distruttivi dell’ambiente in cui vivevano, come nel caso dell’Isola di Pasqua. Forse, allora, potrebbe tornar utile essere un po’ «catastrofisti», per far venire la strizza ai nostri pigri politici e al tempo stesso destare l’attenzione dei nostri concittadini, troppo comodamente impoltroniti da una televisione fatta di veline e pacchi a sorpresa.

 

 

Marco Majrani: “Donne & palloni”, 172 pagine interamente a colori, Editore LoGisma, Firenze, Prezzo: 20

E' appena uscito "DONNE & PALLONI", un libro assolutamente insolito, che ci fa scoprire una delle pagine meno note della storia, relativa alle aeronaute. Specifichiamo che qui non si parla di aviatrici, bensì di aeronaute, cioè di donne che si sono cimentate con il più antico mezzo per volare, il pallone aerostatico, popolarmente detto mongolfiera.

Marco Majrani traccia i ritratti di 25 donne straordinariamente ardimentose, a partire da epoche lontane. Dalla prima donna ad aver volato, una certa Madame Elisabeth Tible, a Jeanne Labrosse ed Elisa Garnerin, che già alla fine del Settecento salivano in pallone ad altezze vertiginose e si lanciavano con il paracadute (!), a Leona Dare che compiva ardite evoluzioni su un trapezio appeso ad un pallone, alla sconosciuta italiana Antonietta Cimolini che alla fine dell'Ottocento in Argentina imitava la Dare nelle proprie arditissime evoluzioni; a Marie Marvingt, che eccelleva in tutti gli sport, tanto da correre il Tour de France ciclistico in semi-clandestinità insieme con gli uomini nei primi anni del Novecento! Nel riconoscimento del grande coraggio delle donne, l'autore passa a descrivere anche delle imprenditrici aeronautiche, come Hélène Dorigny, prima trasvolatrice del Mediterraneo o alla più antica Aida de Acosta, prima donna a pilotare un dirigibile oltre che grande sostenitrice della ricerca scientifica. Il libro termina con i profili di quattro italiane che ancora oggi esercitano questa antica arte, ottenendo risultati eccellenti: da Alessandra Benso, prima istruttrice donna; a Donatella Ricci, astrofisica prestata all'aerostatica, detentrice anche del record mondiale assoluto di quota con un autogiro; a Ingrid Trombetti, già brevettata pilota a 19 anni; a Maria Chiara Cremoni, che conduce una mongolfiera in grado di portare in volo 24 passeggeri e che rappresenta il mondo dell'aerostatica nazionale presso l'Aeroclub d'Italia.

Un libro da leggere tutto d'un fiato, corredato da oltre 150 belle illustrazioni, tratte in parte da stampe d'epoca e da documenti inediti, oltre a immagini contemporanee che ci mostrano queste "Veneri volanti"  in azione. Un giusto riconoscimento al coraggio e alla vocazione scientifica di tante donne che non hanno assolutamente nulla da invidiare ai colleghi maschi, anzi, spesso rappresentano un esempio da imitare. In un'epoca in cui l'uguaglianza tra uomo e donna appare un obiettivo ormai prossimo ad essere raggiunto nei paesi evoluti, se ce ne fosse ancora bisogno, questo saggio spezza una lancia a favore dell'"altra metà del cielo", modo di dire in questo caso quanto mai appropriato.

Il Galileo