Il sacrificio, come azione, dal latino sacrum-facere è tra i temi distintivi della ricerca antropologica del '900, le connessioni con il mito narrato, con il testo sacro come pure con le tragedie greche ricorrono nelle pagine di due maestri: René Girard, e Claude Lévi-Strauss. In un tempo in cui le profezie di un' eclissi del sacro sembrano dimenticate, nell'emergere di nuove forme di vita religiosa e di dinamiche amico-nemico, che adombrano l'archetipo del capro espiatorio, il nodo dell'antropologia come scienza umana dovrebbe essere tenuto in debita considerazione per avere criteri di giudizio e strumenti per un dibattito consapevole sui fenomeni odierni. In questo testo si parte da interrogativi come: Qual'è l'efficacia dello strutturalismo, la sua portata d'azione? Cos'è la metafisica del sacro? Proprio per offrire uno spaccato di una morfologia del sacro di cui i due antropologi francesi, hanno reso conto.
La teoria mimetica presentata da René Girard ha comportato una rottura epistemologica notevole nelle scienze umane per i contenuti, come pure per il metodo adottato. Girard è forse uno dei più grandi antropologi viventi e spesso si è posto in contrapposizione con il nume tutelare dell'antropologia novecentesca, Claude Lévi-Strauss, vero totem di quella compagine proteiforme costituita dallo strutturalismo.
Lévi-Strauss è stato figlio del suo tempo, del tempo di George Dumézil, per il quale non poteva darsi scienza e comprensione della realtà se non all'interno di uno schematismo strutturalista. Girard, per contro, è in una certa misura inattuale con le sue considerazioni, ha compreso come il sacro sia originario rispetto alle culture umane, e supera in tal senso la teoria di Emile Durkheim1 che giustapponeva sacro e profano in maniera troppo netta, come anche quella di Evans-Pritchard2, per cui non vi sarebbe nulla di buono nelle teorie del religioso.
Girard, in effetti, ha compreso l'uomo non solo come animale simbolico, dunque non solo come costruttore di simboli, potremmo dire con C. S. Peirce anche come interpretante, un interpretante attivo, nel fare sacrificio, sacrum facere, e non solo, con ciò, condizionato da strutture latenti. L'impostazione di Lévi-Strauss, in termini kantiani, tende, per contro, ad offrire modelli della realtà noumenica, le strutture sociali, rapportandola ai fenomeni osservati, i quali assumono il proprio significato solo in rapporto a queste strutture latenti.
Girard afferma invece che il sacrificio, il rito, sia la cosa stessa3, mostra, cioè, come i sacrifici realmente abbiano un'azione, ma pure un significato concreto, esperibile; viene quindi riabilitata una metafisica del sacro, obliata dai moderni, nonostante lo stesso sacrificio, certamente, sia allo stesso tempo il segno più emblematico, ma anche il meno tangibile secondo Evans-Pritchard per il quale il sacrificio non esiste.
Il sacro ritorna così ad essere come un fluido che tutto permea, teoria non così dissimile, per alcuni versi, anche se Girard lo nega, da quella del numinoso di Rudolph Otto. Ed è proprio dalla riabilitazione di categorie generali, ma anche di veri e propri universali-concreti, o idee sensibili, che Girard può trattare termini come sacer, mana, senza ricorrere a quell'umanesimo impressionistico, secondo la definizione dell'antropologo francese, ovvero senza far riferimento ad un metodo eccessivamente analitico e riduzionista che, cioè, scomponga queste categorie troppo estese semanticamente in altre più controllabili e rapportate con fenomeni osservabili.
Lo strutturalismo di Lévi-Strauss, per quanto consapevole del ruolo delle relazioni diacroniche, e cioè della storia dei sistemi, appare limitato nella comprensione di rituali e sacrifici. Laddove avviene quella che con Aristotele è definibile come catastrophé, soluzione di continuità dapprima, e ristabilimento dell'ordine poi, Lévi-Strauss impiega solo delle teorie di matematica combinatoria per interpretare i fenomeni, mentre Girard dà consistenza a queste rotture di simmetria, rendendo più consapevole l'uomo del senso delle crisi sociali e dell'appiattimento delle differenze.
Girard supera così gli esiti dello strutturalismo, quelli di un umanesimo impressionistico che sfocia nel suo altro, la foucaultiana morte dell'uomo, correlato della morte di Dio, nient'altro che il compimento di un umanesimo privo di comprensione per l'uomo nella sua relazione con la storia, storia dapprima fondata esclusivamente in riferimento al divino. Foucault, in effetti, ne Le parole e le cose, mostrava come con la psicoanalisi, e la scoperta delle strutture della corteccia cerebrale preposte al pensiero, l'uomo avesse perso il suo posto d'onore nelle scienze umane per lasciarlo a strutture più profonde, originarie e basiche. Girard, stupisce. Perché sovverte una tale impostazione, ricorrendo tuttavia ad un'argomentazione naturalistica: afferma, infatti, con il neuroscienziato Anthony Storr4, che la nostra massa cerebrale, così elevata, è proporzionale alle virtù mimetiche proprie della nostra specie, attraverso cioè una mimesis senza la quale non ci sarebbero simboli, mimesis, che non è rappresentazione, in senso platonico e non è neppure Vorstellung in un senso più vicino a noi, ma è essenzialmente gesto, azione5.
Una delle linee guida dello strutturalismo lévi-straussiano è la linguistica di Roman Jackobson con il quale l'antropologo francese ebbe un intenso scambio di idee. Tuttavia la realtà antropologica non è analizzata esclusivamente in termini di una vaga semiosfera, (per impiegare un termine di Lotman) ma è tradotta anche in senso algebrico, topologico, cibernetico.
Lévi-Strauss è alla ricerca delle invarianti strutturali nelle società, il suo lavoro è volto a rendere più concrete quelle categorie sociali che già Emile Durkheim aveva tratteggiato ne Le forme elementari della vita religiosa. Il pensiero selvaggio, così denominato da Levy-Bruhl, confonderebbe i piani dell'astratto e del concreto e accorderebbe al ragionamento metaforico un valore reale, per cui per Levy-Bruhl, davvero i totemisti australiani avrebbero confuso un uomo con un canguro. Ciò è stato sempre contraddetto da Durkheim, ed invero anche da Lévi-Strauss, il quale considerava la funzione della ragione identica tra l'occidentale e il selvaggio, ma diversamente potenziata. L'intelletto tuttavia emerge nello specializzarsi di strutture semantiche sempre meno fuorvianti, che non portino a confondere l'individuo con il suo spirito protettore.
Ricordando la poetica di T. S. Eliot, è possibile affermare che la consistenza di queste rappresentazioni totemiche sia affine a quella di un correlativo oggettivo, e cioè affine ad una metafora viva che si concreta in un oggetto. Pertanto le categorie sociali si presentano nel totemismo reificate in alcuni animali, o vegetali, il cui significato è dato in un codice molto rigido. Nella comprensione dello statuto delle strutture sociali-culturali, è celebre la distinzione, sempre di Lévi-Strauss, tra società calde e società fredde, le prime sarebbero quelle occidentali, con un meccanismo interno simile ad una macchina termodinamica, lontana dall'equilibrio, in cui vi è un incremento di entropia ed una trasformazione, mentre le seconde, le società fredde, sono le societàprimitive in cui non vi è senso storico, e i cui meccanismi sono retti da un ciclo continuo e reversibile delle trasformazioni, per cui non vi sarebbe progresso-differenza sul piano del tempo: queste sono le società descritte, per esempio, da Mircea Eliade ne Il mito dell'eterno ritorno, le società tradizionali che si raccordano ai cicli della natura e non possiedono un senso storico essendo la loro cultura un naturalismo, lo stesso naturalismo praticato dal totemismo.
Lévi-Strauss, collocando in una griglia che è sia spaziale che temporale, i rapporti semantici all'interno delle culture primitive, esplicita ancora una volta il suo kantismo, certo privo di soggetto trascendentale, ma che rende palese l'importanza della geometria nello stilare modelli grazie alla loro portata euristica nel rappresentare strutture e relazioni sincroniche.
Un altro riferimento, per quanto riguarda la geometrizzazione, è senz'altro il morfologo d'Arcy Thompson che, con Crescita e forma, aveva mostrato la sostanziale analogia e somiglianza delle forme naturali e dei loro modi di costituirsi.
Riferimento di primo piano, però, risulta essere il gruppo di matematici che andava sotto il nomeacronimo di Bourbaki, grazie alla cui impostazione, Lévi-Strauss, è in grado di evidenziare le invarianti strutturali nelle diverse società, mediante una combinatoria, una mathesis universalis. Bourbaki ha offerto, difatti, gli strumenti algebrici di teoria dei gruppi, e con ciò delle strutture matematiche invarianti rispetto a trasformazioni. Altri influssi sono quelli della cibernetica di Norbert Wiener, con i suoi studi dell'auto-organizzazione, riscontrata da Maxwell nei sistemi dinamici, e non da ultimo la teoria dei giochi di John von Neumann6, celebre nel suo impiego in economia, modello, quello dei giochi, che consente di offrire una rappresentazione della scelta tra opzioni e nelle decisioni.
Tali teorie della comunicazione, modelli di tipo logico-matematico a cui si aggiunge anche la teoria dell'informazione di Shannon, allora nascente, portano a dare maggiore rilievo alla semiotica di De Saussure come teoria dello scambio di informazioni. Diventa così possibile, per Lévi-Strauss, trattare le differenze socio-culturali, i mutamenti incorsi in un sistema, ricompresi come informazioni-differenza.
Tale parallelo è stato reso più evidente, per esempio, con i lavori di Gregory Bateson, come Verso un'ecologia della mente, in cui si denomina l'informazione, appunto, come differenza che causa un'altra differenza. La semiotica di Saussurre, con le differenze tra langue, campo di tutte le possibilità segniche, e parole, insieme di tutte le effettive realizzazioni, consente, coniugata con la teoria dell'informazione, di meglio osservare lo scambio di informazioni e dunque di offrire un resoconto più oggettivo, verificabile di una scienza umana, una scienza del soggetto come l'antropologia.
René Girard è scettico nei confronti dei riferimenti principali della sociologia e dell'antropologia moderna e contemporanea. Come rileva in Delle cose nascoste sin dalla creazione del mondo, il periodo tra il XIX e il XX secolo, è stato una fase in cui si tentava di elaborare un'origine della religione sulla falsa riga de L'origine della specie di Charles Darwin.
Girard si pone in contrasto con il padre dell'evoluzionismo contemporaneo, perché l'evoluzionismo, con varie declinazioni, avrebbe, a suo dire, spiegato i mutamenti nel corpo umano e nella cultura attraverso spiegazioni magiche e onnicomprensive. Girard impiega a tale riguardo il termine di Madama Evoluzione, il quale per un critico letterario del suo calibro non può che essere un riferimento ad una figura tipica dell'immaginario fiabesco, una fata, che viene d'improvviso a sciogliere le difficoltà insolubili. Girard dunque non si arrende a spiegazioni deficitarie, per il loro autoriferimento7, e si inscrive in quel solco della sociobiologia contemporanea che ha compreso l'evoluzione umana e culturale come costituita da elementi darwiniani, ma anche lamarkiani, laddove per esempio vi è un influsso della cultura sulla conformazione del corpo, sulle abitudini alimentari che portano a migliori aspettative di vita nonché all'incremento della popolazione. Un esempio calzante è quello della caccia. L'uomo non è stato sin dall'origine un animale carnivoro, ha cominciato l'arte della caccia per via del meccanismo vittimario del capro espiatorio, in una certa misura imputabile ad un banchetto totemico di animali sacri.
Il delicatissimo salto dall'animalitas all'umanitas, su cui la filosofia novecentesca si è concentrata almeno da Concetti fondamentali della metafisica di Heidegger, viene compreso in termini nuovi, proprio per l'assetto conferito all'etnologia e all'etologia, in rapporto costante.
Ogni acquisizione di conoscenze avviene grazie alla mimesis, al gesto in grado di emulare quello dell'altro, ed è pertanto la condizione di possibilità perché vi sia anche la sfera del sacro, la cui relazione con la violenza è derivata da attività mimetiche e competizioni che infrangono le tacite norme limitanti la mimesis di appropriazione. Girard mostra come i meccanismi di mimesis, competizione e di capro espiatorio, siano presenti anche nei mammiferi, se non in esseri inferiori come i pesci, come quelli presi in considerazione da Konrad Lorenz8. Girard è critico anche di quelli che Ricoeur definiva maestri del sospetto, in particolar modo di Marx e Freud, ma anche di Nietzsche, e lo è per gli stessi motivi per cui è critico di Darwin.
In questi pensatori, geni che scoprono e obliano nel contempo9, vi è una tensione alla riduzione e al misconoscimento dei meccanismi fondamentali delle culture umane. La riconduzione alla sola lotta di classe, emanazione della darwiniana struggle for life, comporta un appiattimento di tutte le componenti sacre nella vita e nella lotta umana, il sacro per Girard non è sovrastrutturale, è anzi strutturante. Anche la riconduzione da parte di Freud, di tutte le manifestazioni umane a manifestazioni di libido sessuale, integrata con l'istinto di morte, nella definitiva comprensione dell'interazione tra eros e thanatos10, sono deficitarie nella comprensione dei fenomeni fondanti il religioso. Per quanto riguarda Nietzsche, la teoria del dionisiaco è altrettanto fuorviante, anche se utile per cogliere la questione del ritorno all'indifferenziato.
Il sacrificio, perno dei riti e fondamento del religioso, per Girard, è il farmaco11, ma è pure soluzione per uscire al di fuori di una situazione critica che ricorda la lotta originaria, entro cui si poneva una mimesis, un comportamento imitativo, un'emulazione di condotte che portavano a perdere le differenze tra i ruoli, nelle gerarchie e nella conformazione della società.
In particolar modo i cosiddetti doppi, la magia imitativa, sono i moventi di tensioni striscianti, le quali debbono sfociare in un gesto riconciliatore che, nel contempo eviti l'escalation della violenza e sia gesto assoluto, irrevocabile.
Un delitto è pertanto punito tramite una vittima gregaria, per evitare le catene di vendetta, che altro non sono che violenza mimetica. Il sacro si conforma così come violenza, sacro, violenza e mimesis, sono strettamente correlate. Girard afferma che il nesso tra sacro e mimesis è il medesimo tra flogisto e ossigeno, e ciò sta a significare che il sacro, come il flogisto è un parametro vago nei suoi contorni, difficilmente esprimibile in termini rigorosi, allo stesso modo la mimesis è basica, concreta, come può essere l'ossigeno, nella moderna chimica.
Girard, in tal senso, rende più rigorosi gli strumenti di analisi dell'antropologia e si confronta con lo strutturalismo di cui supera gli esiti, in effetti, per Girard non tutto è riducibile a segni, e vi sarebbero anche dei referenti esterni al testo. In merito a Lévi-Strauss, e a tutta la compagine dello strutturalismo in antropologia, Girard è critico. Lévi-Strauss, stando a Girard, avrebbe confuso la rappresentazione religiosa con il suo referente, per mostrare dunque la realtà e l'effettiva presenza del meccanismo del capro espiatorio, Girard, si attiene ai cosiddetti testi di persecuzione.
Tali testi, tristemente noti, sono quei documenti in cui si faceva riferimento, nel medioevo, a minoranze che avrebbero portato confusione, disordine e maledizioni nella comunità: i lebbrosi, gli ebrei, i malati e gli stranieri inducevano a linciaggi, questi sono per Girard casi ben documentati, in cui non si confonde la rappresentazione e il suo referente. La comunità appare in crisi, nel '300 la peste produce danni terribili, si scompaginano le gerarchie, vi è il trionfo della violenza e della morte, le minoranze essendo viste in rivolta con Dio, vengono comprese come il nemico su cui far convergere tutte le tensioni della comunità, per purificarla e prevenire ulteriori prove e difficoltà.
Si produce così quella che con Carl Schmitt si può denominare una logica amico-nemico, compresa in un codice sacro. Vi è ancora in questi meccanismi un soggetto-collettivo, non un io indipendente, cosa molto affine a quella mentalità primitiva compresa da Lévi-Strauss, come mentalità collettiva che non ha il senso del sé.
La distinzione propria di Durkheim tra credenza e rituale verte sulla relazione tra rappresentazione, nel suo rapporto alla credenza, e l' azione con il rito.
Sia Lévi-Strauss che René Girard hanno svolto le proprie indagini riprendendo questa distinzione, tuttavia, le interpretazioni sono diverse; prendendo a prestito una distinzione di Roger Caillois12 tra morfologia e sintassi del sacro, si può affermare che Lévi-Strauss, propenda più per la sintassi del sacro che non per la sua morfologia, nell'ambito delle sue analisi, mentre, per contro, nelle indagini di René Girard, la stessa morfologia è la grammatica, la sintassi appunto, infatti il sacro, essendo ricompreso in una prospettiva metafisica non è al di là del fenomeno, delle sue forme di manifestazione. Per Lévi-Strauss, il sacro, il rituale si organizza attraverso una tassonomia di relazioni rese palesi in idee concrete sensibili, proprie di quelle metafore mitiche analizzate da Lévi-Strauss, che, con Gaston Bachelard si possono denominare metafore materiali.
Mentre, invece, Girard, non contrappone psicologia a struttura come fa Lévi-Strauss, in quanto gli organismi mimetici, che mettono in atto il sacro sono resi possibili dalle azioni e volizioni umane, tipiche di quei giochi umani che Caillois e Huizinga13 avevano elencato.
Come già ricordato, in Lévi-Strauss, sono ben ravvisabili gli influssi della teoria dei giochi di von Neumann, un modello delle decisioni umane all'interno di dinamiche e di interazioni tra più soggetti. Ma in Lévi-Strauss, come in Girard, è presente un altro tipo di teoria dei giochi, quella che con E.Benveniste14, si può dire, veda il gioco come struttura.
I giochi sono essenzialmente sociali e prima di essere giochi linguisticisono giochi del corpo15, giochi in cui le antiche competizioni originarie si istituzionalizzano formando dei veri e propri abiti mentali. Lévi-Strauss, comprende come vi siano delle strutture inconsce latenti per questi giochi. Il suo kantismo senza soggetto trascendentale, secondo la definizione di Paul Ricoeur (accolta positivamente dall'antropologo), è dato da un hegeliano operare di tutti e di ciascuno. L'influsso di Hegel è evidente in quanto le categorie sono essenzialmente intersoggettive ed eccedono la storia individuale, appartenendo per Lévi-Strauss ad un inconscio collettivo. Lo Hegel di Lévi-Strauss è un ibrido, perché risente molto del materialismo dialettico di Marx, in effetti le forme simboliche sono sovrastrutture determinate da infrastrutture materiali. Natura e cultura, crudo e cotto sono i limiti semantici, opposizioni semiche entro cui si collocano le azioni, i gesti e gli oggetti manipolati dall'uomo, in una dialettica costante la quale evidenzia una sorta di chiasma appunto tra naturale e culturale16 in cui si inserisce quell'essere ibrido qual'è l'uomo.
Da qui discende lo stesso studio strutturale del mito, che altro non è che una forma di comunicazione con la sua grammatica latente. Già nel Pensiero selvaggio, Lévi-Strauss, confrontandosi con Sartre, afferma che l'analisi del mito corrisponda alla dialettica. Come per Hegel il contrario e la contraddizione sono il medesimo, ovvero, la definizione di un comportamento e il comportamento stesso. In tal modo il mito risulta essere quella sovrastruttura, che attraverso una dialettica materiale pone in essere una sintesi tra contrari, che creano contraddizione, ed è una sintesi espressa in un linguaggio a-storico, archetipico, a cui però è possibile ricondurre fatti ed eventi contingenti tipici della dimensione comunitaria.
La semantica del mito è quella di stabilire simmetrie, simmetrie in un ambito formale al confine tra logica e topologia17, in grado, con ciò, di rendere palese la funzione del mito di placare le tensioni e di ristabilire le differenze. Per comprendere meglio le posizioni di Lévi-Strauss e quelle di Girard, in merito alla differenziazione, alle simmetrie tra uomo e natura, occorre tenere in considerazione una questione tanto centrale nell'antropologia moderna, quella dell'incesto.
Seguendo le analisi strutturali di Lévi-Strauss, tra comunità e incesto vi è lo stesso rapporto intercorrente tra vita e morte, rappresentate attraverso strutture algebriche che comprendono i nessi soggiacenti tra le morfologie dei fenomeni, e delle pregnanze di vita e di morte. Pertanto nel codice della comunità, nel districarsi delle strutture di parentela, il non detto, o ciò che è latente nel mito è che l'incesto sia un gesto antisociale, e corrisponda, a livello sociale, alla morte della comunità.
Il mito difatti è una forma simbolica che traspone il sacrificio in un tempo lontano, in quell'origine appunto mitica delle cose, del loro ordine, dell'ordine dei rapporti umani. Invero, questa accezione sembra non essere così dissimile dal rimando del sacrificio in Girard ad una conflittualità, ad una crisi originaria, da cui prende avvio lo stesso sacrificio, ovvero la trasgressione che normalizza, il gesto più sacro, ma anche il più turpe porta alla soluzione.
Nella conclusione de L'uomo nudo, Lévi-Strauss, afferma che il mito incorpora un principio di differenziazione identico al linguaggio e al pensiero. L'incesto, con la sua promiscuità sessuale riduce l'uomo a bestia, gli sottrae quella che Heidegger avrebbe chiamato la soglia dell'umano, appunto una differenza, un abbozzo di gerarchia. Vi sarebbe un ritorno nell'indifferenziato. La metamorfosi dei compagni di Ulisse in maiali. Nel mito, questo caos originale, il brodo primordiale da cui sono insorte le differenze è il kaos dei greci, il diluvio universale di Noé, nel contesto biblico.
Su questo versante sia Lévi-Strauss che Girard la pensano in maniera affine, il mito è intrinsecamente strutturale ed è in particolare per Girard una struttura trascendentale18 da cui derivano istituzioni e ordinamenti sociali. Per Girard, la catastrofe originale comporta il venir meno delle differenze, la distruzione dell'ordine gerarchico, come testimonia Troilo e Cressida di Shakespeare.
Per Girard, studioso di letteratura, il plot, l'intreccio della narrazione dei miti risulta essere affine a questo: situazione, complicazione, rivoluzione, colpo di scena. Il mito per antonomasia, lo si ritrova esposto in una tragedia, quella di Edipo.
Tale operazione di impiegare una tragedia, riscontrandone un impianto affine e correlato con il mito e la religiosità primitiva è un' operazione poco lecita secondo i puristi, gli studiosi della classicità. Girard la porta coerentemente avanti e riscontra nella tragedia edipica una ben più radicale importanza rispetto a quella accordatagli nella psicoanalisi. La trasgressione edipica, anzitutto, non è consapevole, Edipo è destinato ad infrangere le norme civili e morali, e della sua colpa risente l'intera comunità. La peste di Tebe, la cecità, la morte di sua madre Giocasta, sono conseguenze del male e del venire meno di quegli scarti di differenze che costituiscono il perno di una società.
Per Girard lo spaccato rivelato dalla tragedia di Edipo, è quello di uno stabilizzarsi della società mediante scarti differenziali, una stabilità nella differenza, all'interno di equilibri, preservati dai sacrifici curativi e preventivi. Da questi elementi si può notare come sia Girard che Lévi-Strauss siano concordi nel comprendere come i codici, i rituali, rimandino ad un passato, ad un origine indeterminata, nella notte dei tempi, e comprendano come il sacrificio sia memoria, chiamata alla presenza dell'evento costitutivo di tutte le differenze qualitative nella società. Il rito consolida, dà corpo a queste relazioni, e preserva dal disordine e dallo scompaginamento dei rapporti tra natura e cultura, derivati da soggetti mimetici quali sono gli uomini.