frate e partigiano
Da un suo discorso inedito alle celebrazioni del
40°
anniversario della
rinascita della Camera del Lavoro di Milano
emerge la sua filosofia:
“beati
coloro che hanno fame e sete di
opposizione”
- ” beati coloro che
sanno resistere”
La sua attività durante la Resistenza a Milano a fianco di Eugenio Curiel,
Enrico Berlinguer, Gillo Pontecorvo, Teresio Olivelli, Lelio Basso, Camillo De
Piaz
di Adolfo Scalpelli
Lo hanno ricordato e lo stanno ricordando con convegni, conferenze,
conversazioni, testimonianze, Padre Davide Maria Turoldo (foto sotto), per i
vent’anni della sua scomparsa. Friulano, nato a Coderno il 22 novembre 1916,
monaco dell’Ordine dei Servi di Santa Maria e ordinato sacerdote nell’agosto del
1940,
durante
il secondo conflitto mondiale ha vissuto a Milano nel convento di San Carlo e
qui combatté la sua Resistenza, affiancato da un inseparabile confratello,
Camillo De Piaz, nei venti mesi infuocati della
Repubblica sociale e dell’oppressione nazista. Racconterà che il suo sacerdozio
è iniziato a Milano “in piena guerra. Ho fatto la Resistenza e l’ho fatta con
Curiel foto a destra), con Gillo Pontecorvo, quello de
La Battaglia di Algeri; con Teresio
Olivelli, quello della Preghiera del
Ribelle; con Lelio Basso, eccetera, eccetera.”. In più occasioni parlerà di
fascismo e dirà di se stesso di essere stato “…un irrazionale fascista: come
tutti o almeno come tanti (e il fascista non può essere che irrazionale)”. E
ancora: “Questa, del fascismo, fu un’esperienza che poi orientò tutta la mia
vita in senso esattamente opposto, svelandomi, avanti tutto, il valore della
libertà – il quale, per essere il primo e sommo valore dovrà sempre essere
conquistato: una vera libertà non si regala mai”. Un antifascismo, quello di
Turoldo, sempre riaffermato. Con orgoglio rivendicherà la sua partecipazione
alla guerra popolare di liberazione non nascondendo mai i suoi rapporti sinceri
con comunisti, socialisti e azionisti. E avrà sempre per Teresio Olivelli (foto
a destra) il commosso ricordo di un cristiano che aveva saputo rinfrescare le
parole del Vangelo sugli umili e i poveri e i “ribelli” con quella
Preghiera che è stata giustamente
definita il documento religioso liricamente più alto che la Resistenza italiana
abbia prodotto.
Questo ricordava spesso Turoldo come tappa importante della sua vita, come
momento basilare del suo
accostamento ai temi sociali e politici quotidiani del mondo laico. Molto ci si
è soffermati, e insistito al di là del naturale studio sul religioso, sul
Turoldo poeta, letterato, in un certo senso scivolando via o non affrontando la
serie di altre sfaccettature che compongono la complessa personalità di questo
frate così ricco di umori, di curiosità, con
tanta sete di conoscenze nuove andando sempre oltre i traguardi raggiunti,
arricchendosi di esperienze anche in discussioni e dibattiti in ambienti che
altri cattolici avrebbero considerato disdicevoli, come le feste dell’Unità, o
le sedi politiche della sinistra o
le sale sindacali della Cgil. Portando sempre il suo contributo originale, la
sua passione e non dimenticando mai le parole della sua missione pastorale. E in
queste occasioni laiche e secolari, si inseriva con le sue parole ispirate a
grandi motivi umanitari come la battaglia per la pace e la difesa degli umili. E
per parlare di pace aveva anche fatto un viaggio a Mosca con un soggiorno attivo
di discussioni e dibattiti a livello internazionale con i rappresentati di altri
culti e altre chiese.
Fu a una festa dell’Unità a Milano il mio primo incontro con Turoldo per la
presentazione di un libro con la cronologia della Resistenza milanese. In quella
sede Turoldo parlò della “sua” Resistenza, degli uomini di tanti partiti che nel
corso del periodo aveva conosciuto, di Teresio Olivelli di cui citò passi della
Preghiera, nell’attenzione assoluta
del popolo comunista di quelle grandi feste. Ma la conoscenza più approfondita
avvenne il 24 maggio del 1985, quando lui, dell’ Ordine dei Servi di Maria ed
io, comunista e direttore dell’Istituto di storia della Resistenza e del
Movimento operaio, dovevamo celebrare su invito del segretario generale del
tempo, Carlo Ghezzi, il 40° anniversario della rinascita della Camera del Lavoro
di Milano. E così avvenne nella sede della Camera del Lavoro in corso di Porta
Vittoria, una mattina davanti a dirigenti sindacali, a operai delle fabbriche
milanesi, a rappresentanti dei comitati di fabbrica.
Padre Davide Maria Turoldo
La mia ricostruzione degli avvenimenti, a partire dalla riunione del Comitato
sindacale clandestino avvenuto in piazza Bacone la mattina del 25 aprile,
ripercorreva la storia dei primi anni della ripresa dell’attività sindacale
libera, dell’unità del sindacato durata purtroppo solo tre anni, dello stato di
miseria e di disoccupazione che rendeva tutto difficile, degli errori, anche,
commessi in quei primi mesi concitati di vita sindacale.
Padre David Maria Turoldo
parlò avendo con sé una decina di cartelle battute evidentemente a macchina da
lui stesso, con larghi spazi, spesso, tra parola e parola. Aveva preparato un
testo scritto, segno evidente di un impegno di preparazione, prova di una
partecipazione sentita, del desiderio di trasmettere una calda solidarietà al
mondo del lavoro.
Il testo di quel discorso
non è mai stato pubblicato ed è conservato tra i documenti dell’Archivio del
Lavoro nella sua sede di Sesto S. Giovanni (Archivio storico della Camera del
Lavoro, Milano, fasc. 16.2). E’ la testimonianza delle posizioni di un
cristiano, profondamente, evangelicamente schierato dalla parte degli umili. Un
discorso che è quasi paradigma emblematico e sintesi delle sue credenze umane e
morali, un discorso che conferma le sue origini, la sua vita originale di
povertà, la maturazione delle sue convinzioni cristiane che si rifanno alle
fonti evangeliche. La prova è nel racconto inedito di una vicenda legata alla
scissione sindacale del 1948, delle sue posizioni e di quelle di una gerarchia
ecclesiastica che si ingerisce nelle vicende della società italiana, nella
politica e nelle questioni sindacali. Turoldo la racconta senza astio, senza
rancore nei confronti di chi aveva tentato di corrompere la sua coscienza,
testimonia la sua presa d’atto delle posizioni della curia di Roma e conferma di
essere rimasto dalla parte del lavoro. Il discorso che di seguito pubblichiamo
integralmente, lasciandolo come è stato scritto, dice molto sulla complessità
dell’uomo, sulle tante e profonde sfaccettature della sua cultura che non si
limita alla poesia e alle sue interpretazioni delle scritture bibliche o
evangeliche, ma che fa di lui, insieme, un uomo di chiesa e un uomo del nostro
mondo non sordo al richiamo delle questioni sociali e politiche, come del resto
mostrano, innovando, alcuni
studiosi, Giancarlo Mattana e Paolo Zanini tra gli altri, che nelle loro
biografie si occupano anche degli aspetti, diciamo così, terreni della vita e
dell’opera di Turoldo.
Per la forma del testo
alcune avvertenze. Non erano certo pagine destinate alla lettura, ma certamente
l’intenzione era di avere una ricca traccia di discorso e il testo preparato ha
piuttosto lo stile di un linguaggio parlato per cui ci sono frasi sospese,
lasciate a mezz’aria e che avrebbe completato e concluso nel corso
dell’esposizione orale. In sostanza si tratterebbe di un ampio canovaccio da cui
tuttavia si possono ricavare alcune spie che confermano le posizioni e il
pensiero di Padre Turoldo, come quando all’inizio usa il nobile termine di
“compagni” usato nelle organizzazioni della sinistra.
Abbiamo cercato di
intervenire il meno possibile sull’originale limitandoci a mettere alcune
lettere maiuscole e qua e là qualche segno di interpunzione. Nel merito, invece,
del testo alcune precisazioni. Turoldo parla del “Fronte della gioventù” che fu
l’organizzazione giovanile della Resistenza, fondata da Eugenio Curiel, che
inquadrava giovani di tutte le tendenze per combattere anche in armi contro
fascisti e tedeschi. Laddove Turoldo parla del “primo Fronte della gioventù” si
riferisce a quello nato nella Resistenza e non, ovviamente, alla scopiazzatura
operata dal Movimento sociale italiano per il suo settore giovanile.
Quando parla invece dello
sciopero del marzo 1944, si riferisce alla grande prova data dagli operai dei
grandi complessi industriali del Nord Italia che per la prima volta in Europa si
ribellarono all’occupazione tedesca e bloccarono il lavoro per alcuni giorni,
pagando il loro gesto con centinaia di deportati nei Lager.
Questo il testo del discorso.
Per prima cosa vi saluto perché nel saluto mi trovo subito a mio agio: tra amici
è il clima migliore per farsi delle confidenze, nulla di più, appena qualche
ricordo e delle proposte, ecco si potrebbe dire una rinnovata stretta di mano. E
accanto al saluto, per stabilire il clima dell’incontro, grazie a Ghezzi
e a tutti gli amici della Cdl che hanno pensato di invitarmi dove ritorno
volentieri, ricordandomi di una gloria finita, ma che deve continuare come poi
dirò. E’ per me quindi come una specie di bagno ristoratore. Vi devo ringraziare
tutti, dall’ultimo operaio al primo responsabile della Cdl che oggi ricorda
l’inizio delle sue battaglie, della sua grande avventura , a Milano almeno.
Già lo sapete sono Davide
Maria Turoldo, sono un frate, sono vissuto a Milano per tanti anni, proprio
dalla guerra in poi e quindi qui ho speso la parte migliore di me stesso, dal
’40, quindi in piena guerra e con dieci anni di predicazione ininterrotta nel
Duomo di Milano, negli anni più infuocati; ho fatto la Resistenza con Curiel,
con Gillo Pontecorvo; e quando Curiel è stato ucciso in Piazzale Baracca con
tutti i compagni ci siamo radunati nel convento di S. Carlo e l’abbiamo
commemorato, e la prima commemorazione è stata fatta in segreto, proprio nel
convento di S. Carlo a Milano.
Ricordo molto bene con Gillo
Pontecorvo (foto a sinistra) col quale e insieme ad altri, a Berlinguer si è
dato inizio al
Fronte
della gioventù, al primo Fronte della gioventù, noi partecipavamo nel raduno di
S. Carlo al Corso ecc. ecc. Teresio Olivelli quello della “Preghiera del
ribelle”, e anzi con lui e con le sue parole voglio poi parlare.
E così come vedete la storia si intreccia pur passando dalla mia strada
incontrando tanti compagni e amici di lotta. Il mio inizio su questo settore che
più interessa,[marzo 1944] e che è più nostro, è la partecipazione al primo
sciopero di Milano durante la guerra che è stata una cosa che non dimenticherò
mai in tutta la mia vita, primo sciopero delle mia vita e Milano che era come
una città del vuoto e dell’assenza, sembrava che ormai fascisti e tedeschi si
muovessero nel vuoto assoluto; forse è stato il più riuscito sciopero anche se
non posso dimenticare le manifestazioni che sono venute dopo e a cui ho
partecipato e per dire quanto la vostra storia è una storia che si intreccia con
la Resistenza e quindi bisognerà continuare ad esistere. Io una volta ho coniato
una beatitudine “beati coloro che hanno
fame e sete di opposizione”; oggi ne aggiungo un’altra “beati
coloro che sanno resistere” e vi dirò dopo le ragioni.
Mi ricordo il giornale nostro clandestino che si intitolava “L’uomo” e
raccoglieva tanti giovani, movimento giovanile allora indipendente, autonomo ,
ecc. aveva come primo punto nel programma di resistenza e di lotta la difesa
dell’unità sindacale quasi già sentendo odor di polvere su quel fronte, già
sentendo che quello era il cuneo da spuntare, da togliergli di forza poiché la
forza di un sindacato voi sapete prima di tutto è la coscienza perché senza
coscienza non si riesca a vincere nulla. Io ricordo molto bene, anzi c’è una
frase di Einstein che dice “tuttavia io stimo tanto l’umanità da pensare che
questo orribile flagello della guerra sarebbe da lungo vinto e disperso se il
consenso dei popoli, ecco la coscienza, non fosse sistematicamente corrotto per
mezzo della scuola e della stampa degli intriganti del mondo politico e del
mondo degli affari” pensate voi per quali vie passa la forza di resurrezione e
di liberazione, senza questa coscienza non è possibile; ricordo ancora quando il
primo piazzale Loreto, quando Milano si è raccolta in silenzio, passava per P.za
del Duomo, Corso Venezia, Corso Buenos Aires e il piazzale e girava intorno a
questo mucchio di cadaveri dove c’era Casiraghi che io conoscevo molto bene,
quello di Sesto S. Giovanni, morti tutti in un mucchio, uccisi come voi sapete,
[era] custodito questo mucchio di cadaveri dalle ausiliarie con il fucile in
spalla e la sigaretta in bocca e pulendosi le scarpe sul mucchio di cadaveri. Di
tante in Milano io ricordo quella è forse la più lunga processione della mia
vita passava adagio, adagio, e continuavamo a dire insieme “eppure non
vinceranno, eppure non vinceranno”. Questa coscienza deve essere una forza,
l’unico nostro capitale è la coscienza perché non ho mai visto un carro armato
spegnere le coscienze, distruggere le coscienze, persino Il Vangelo ci richiama
“non temete quelli che uccidono il corpo, temete quelli che uccidono l’anima”
cioè la coscienza. La prima forza del sindacato, di un sindacato, è questa
coscienza, altrimenti non c’è nulla da fare questa è la carica altrimenti noi
siamo qui a commemorare dei defunti. Assolutamente guardare avanti, creare
questa coscienza, credere ancora in una gioventù, in una generazione che prenda
coscienza, riprenda la lotta e proceda; questo almeno credendo in un futuro se
non in un avvenire, perché l’avvenire può essere pianificato e determinato, ma
il futuro è sempre voluto dalla volontà, dalla forza, dalla decisione delle
coscienze. Ecco, la forza del sindacato è la sua unità.
Ricordo ancora, pensate, allora subito dopo la guerra naturalmente già
cominciava la lotta della Cdl e questa è stata la più grande frontiera proprio
nel cuore della città e mi ricordo che a un punto viene un’alta autorità
ecclesiastica a interrogarmi. Allora io predicavo in Duomo, avevo delle
posizioni, seguivo tutta la dinamica, la vita della città e viene da Roma a
propormi di dirigere un giornale, a offrire una sede, a mettere a disposizione
una macchina, uno stipendio, un buon stipendio; un giornale, una sedia, una
macchina, uno stipendio; compito rompere l’unità sindacale. Mi ricordo…non vi
dirò i nomi. “ma come,” dico io “si fa presto a rompere, che cosa si
sostituisce.” “Adesso l’importante è rompere.” “Beh” dico io “bisogna che ci
pensi sopra.” Mi ritiro, faccio una lettera, ci penso sopra, chiedo chi sta
dietro queste proposte, questi giornali, da dove provengono questi soldi, con
chi ci si deve intruppare per combattere, quali sono i nomi. Mi viene dopo
quindici giorni la stessa autorità a dirmi “Sa padre, la ringraziamo tanto dei
suoi suggerimenti, nel frattempo avevamo parlato ad altri; sa la ringraziamo,
faremo tesoro dei suoi consigli, però abbiamo già risolto.” E già cominciavo a
trattare appieno per la difesa dell’unità sindacale.
Lelio Basso e Enrico Berlinguer
La prima cosa era rompere, perché più si rompe più si divide e più si è divisi
più si è dominati, questa è la logica e la sapete fino alla nausea e tuttavia
non si può mai dimenticarla perché bisogna sempre ripartire da quel punto
altrimenti non si fa niente. Ebbene la forza dell’unità, la forza del sindacato
è la coscienza e la sua unità sindacale. La cosa peggiore è la corruzione della
coscienza. Perché la prima cosa non è una lotta politica, ma psicologica,
spirituale, la disgregazione e la corruzione della coscienza dell’operaio;
questa è la cosa principale. E difatti contro questa lotta di classe, guardate
tutta la letteratura che viene da tutte le parti, e la si dice inutile, non è
attraverso la lotta che si raggiungono i fini proposti, si parla addirittura di
dannosità della lotta, e io bene dico che questi che sostengono questo sono
degli immorali e dei disonesti perché i primi a far la lotta di classe sono loro
perfino il prete quando parla della perpetua è già su una lotta di classe. Ecco
da qui, vedete, la lotta contro il sindacato. Ricordo ancora quell’alta autorità
ecclesiastica che veniva a sedurmi perché potessi prestarmi alla divisione del
sindacato, vi dirò ancora che ho avuto questa circostanza ancora il 16 novembre
del 1969 in pieno autunno caldo, ricordate la coscienza di classe del mondo
operaio aveva raggiunto forse il punto più alto, e c’era tutta l’Italia, tutte
le fabbriche che erano delle fornaci accese.
Mi ricordo che sono chiamato per circostanze particolari a celebrare un matrimonio di un personalità alta e a questo matrimonio partecipa soprattutto al pranzo un’autorità della questura di Milano, un’alta autorità delle questura. Io mangiavo accanto, notate è il 16 di novembre del 1969, vicini c’erano tre industriali, tutta Milano che palpitava, era un vulcano in eruzione, questi industriali alla autorità della questura “Ma quando vi muovete, ma perché non li fermate” e questo uomo della questura “Ma voi non sapete come sono terribili gli operai, non capite che razza di forza hanno”, c’era un “sit in” a Rho guidato persino da un prete, e io zitto a sentire, e continuavano gli industriali addosso alla questura, e io zitto a sentire. E questo della questura “finché non succede qualcosa di importante che ci permetta di riprendere in mano il potere non possiamo far nulla”. Il 12 dicembre succede qualcosa di grande. E’ cominciata la storia e di quel processo non si fa processo. E questo era un sciopero che io ho chiesto diverse volte anche alla Cdl e a tutti gli operai di andare a Palazzo di giustizia, di sedersi sui gradini fin quando non si faceva il processo, tutti insieme. Il processo non si è fatto. Capite era la lotta contro il sindacato, era la lotta contro gli operai, era l’aggressione, da qui addirittura tutto quello che è venuto dopo, anzi se volete mi ricordo nel ’70 un uomo che partecipava allora alla trilaterale, voi sapete che cosa era trilaterale, era la P2 ante litteram della grande industria mondiale, mi dice questo uomo che partecipava, e io parlavo di questa coscienza del mondo operaio, io parlavo di questa forza, io pensavo che tutto fosse ormai sotto il segno di una rinnovazione di tutta la società, ecc. ecc. dice “Sa che cosa hanno deciso, creeranno dei parcheggi, li metteremo in questi parcheggi, li manterremo fuori, perché ci costeranno meno al parcheggio che non in fabbrica e così questo lo diceva nel ’70 dopo le lotte famose. I parcheggi sono stati fatti, si sono mantenuti. Abbiamo 4 milioni di disoccupati soltanto fra di noi o almeno di sotto occupati, e questo è avvenuto. E’ sempre la lotta contro il sindacato. Ebbene c’è un’altra cosa che è riuscita a loro, a noi no. Hanno lottato contro l’unità, hanno lottato contro la coscienza, hanno lottato contro l’impiego dell’operaio nella fabbrica buttando fuori l’operaio e riempiendola di Robot. C’è una frase del vescovo Helder Camara quello del Brasile “Hanno preferito il robot all’operaio”. Siamo arrivati a questo punto. Io capisco che dietro ci sono tante ragioni tecniche, di trasformazione, di informatica, non sono un oscurantista da non capire queste cose tuttavia il risultato è questo: si preferisce il robot all’operaio perché per il robot non c’è scala mobile. Si è creata questa situazione in tutto il mondo. Faccio un altro rilievo e poi finisco: si sono create le multinazionali che sono le cose più astute e potenti del mondo, tanto è vero che non sono neanche i politici più a comandare ma sono i capi delle multinazionali, questi 800 uomini del mondo che sono come quelli della Lega degli Smalcaldi che reggono l’imperatore che vogliono e quando vogliono e son quelli che decidono in qualunque maniera fino al punto da spuntare la più grande arma che l’operaio ha: quella dello sciopero, della contestazione. Bene, sono riusciti a fare l’internazionale dei padroni ma non si è riusciti mai a fare l’internazionale degli operai. Si possono unire i padroni, ma non devono mai unirsi gli operai. Questa è la realtà sociale e politica in cui noi ci muoviamo. Certo le cose sono difficili. Io provengo dalla Bibbia, e tutta la Bibbia nasce dall’Esodo che è il libro della liberazione, il libro della liberazione degli schiavi dal faraone. Anzi se voi leggete, diceva La Pira, il Manifesto di Marx contro la pagina dell’Esodo voi trovate tra le righe del Manifesto di Marx che vi assume il libro dell’Esodo con “schiavi unitevi e insieme batterete il faraone”. Io provengo dalla Bibbia, la parola che non passa e vi dirò che proprio lì traggo la forza di questa coscienza di cui vi ho parlato, e anche traggo la speranza. So benissimo che le cose sono difficili, so benissimo che le tecniche si mutano, so benissimo che l’informatica è il postindustriale incominciato, so benissimo che c’è sempre di mezzo un uomo che paga, e questo è sempre il povero e l’operaio, sempre. Sarà anche la coscienza operaia che potrà essere mutata, come dice Antoniazzi [esponente della Cisl milanese, NdR], tuttavia noi dobbiamo trovare il modo per riprendere questa coscienza poiché ci sono sempre questi poveri che pagano, anzi se volete la guerra nucleare non si è ancora fatta per due ragioni: prima perché non si sa se si riesce a controllarla e poi non si sa dove collocare questi morti, si ha paura di essere coinvolti e di restare come il topo nella trappola. Diceva un filosofo che battersi per la pace è battersi addirittura per i poveri. So benissimo tutte le difficoltà, tuttavia i poveri li abbiamo sempre con noi ed è questa coscienza del nuovo sindacato, la coscienza che deve riprendersi e riesprimersi magari in termini del tutto diversi, un vocabolario tutto da inventare, tuttavia che sia la coscienza nuova e la speranza che vedrà mai per vinti. L’uomo pessimista che dice magari non c’è nulla da fare e tra l’ottimista che magari parte per astrattezze c’è sempre il posto della speranza; nella Bibbia, dicevo, non c’è mai un disastro anche se ci sono gli scoraggiamenti per elezioni e non elezioni, non c’è mai un disastro che non termini con la speranza, c’è la caduta dell’uomo e verrà a salvarlo qualcheduno, c’è il diluvio la barca che galleggia sul diluvio, c’è la distruzione di Gerusalemme, l’aratro che passa sul tempio, ebbene il tempio verrà ricostruito, c’è addirittura la morte e la crocifissione di Cristo e Cristo che risorge, cosa non prevista da nessuno. E sapete come è stata definita da Helsebloch, il marxista, il cantore della rivoluzione russa, quello che scrive il principio-speranza, sapete come la definisce la resurrezione di Cristo “la causa del povero che continua”. Bene, io finisco in questa maniera. Erano appena ricordi, confidenze e auguri di speranze.
La strage di Piazzale Loreto (10 agosto 1944)
Vi
dirò due cose: la prima come concepisco questa lotta e a che punto mi porta e
dopo concludo proprio con un pensiero di Teresio Olivelli con il quale ho fatto
la Resistenza e chiedevamo a Dio la grazia di essere ribelli per amore. Questa
era la preghiera che ho recitato anche in Duomo, sulla Piazza del Duomo vi
ricordate quando con 350 mila operai partiti da P.ta Venezia siamo andati, in
mezzo a fischi e non fischi, avanti. Quando si crede e si ama si può andar
sempre avanti. Questa salmodia che ho fatto a Mosca, esattamente al convegno
internazionale di tutte le forze religiose del mondo per la pace, eravamo 144
Stati e dicevo la pace è l’uomo e questo uomo è mio fratello, il più povero di
tutti i fratelli. La libertà è l’uomo, e questo uomo è mio fratello, il più
schiavo di tutti i fratelli. La giustizia è l’uomo, e quest’uomo è mio fratello,
per un’idea non posso uccidere, per un sistema non posso uccidere, nessuno fra
tutti i sistemi. L’uomo è il più grande del mondo, e il più piccolo fra voi sarà
ancora più grande del regno. Io devo solo lottare, sempre, insieme o da solo,
lottare e farmi anche uccidere. La pace è lotta per l’uomo e uno bisogna che
redima anche la morte. Ecco Oscar Romero. Neppure per la fede posso uccidere.
L’uomo è l’immagine di Dio, Dio che geme per l’uomo e se la Chiesa non è per
l’uomo non è degna di fede, non può essere chiesa e se le politiche non sono per
l’uomo vadano alla malora tutte. Maledetto l’uomo che non è per l’uomo,
maledetta ogni idea, ogni fede. E finisco con questo pensiero. Ai valori ai
quali la miglior Resistenza si ispirò dette voce fra altre Teresio Olivelli,
presenza molto viva ancor nelle memorie di quanti han fatto la Resistenza. Le
scrisse proprio in occasione del primo sciopero a Milano, le scrisse sul secondo
numero del “Ribelle” nel marzo del ’44 con queste parole: “Ribelli, così ci
chiamano, così siamo, così ci vogliamo, siamo dei ribelli, la nostra è anzitutto
un rivolta morale, in un momento in cui pare non ci sia più nulla da salvare
bisogna gettare se stessi nell’inferno della vita con rischiosa ed intensa
moralità, liberi non solo da ogni contaminazione, ma anche dalla tentazione
degli affetti, con l’anima protesa alla nuova città. A questa nuova città noi
aneliamo con tutte le nostre forze, più libera, più giusta, più solidale, più
cristiana, per essa lottiamo, lottiamo giorno per giorno perché sappiamo che la
libertà non può essere elargita dagli altri. Non vi sono liberatori, sono uomini
che si liberano, lottiamo anche perché sentiamo di essere l’esercito reale della
nazione e dell’umanità. Vorrei che gli operai, questa classe vessillifera che
portava un buon tempo la bandiera riprendesse coscienza per ritornare a portare
ancora la bandiera poiché è l’unico messaggio di cui abbiamo bisogno”.